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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2013 alle ore 15:38.

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Londra – L'ultima immagine pubblica che abbiamo di lei ha il profilo e il nome di Meryl Streep straordinaria interprete del film Iron Lady che un anno fa ripropose al mondo, quando il mondo stava già per dimenticarle, le gesta del più straordinario primo ministro della storia inglese dal Dopoguerra ad oggi. Margaret Thatcher è stato un premier divenuto sostantivo, grazie al thatcherismo, dottrina fatta in casa che ha scolpito l'economia e la vita sociale nel regno di Elisabetta.

Se ne è andata a 87 anni dopo molte primavere trascorse nel silenzio di una malattia, non dissimile dall'alzheimer che colpì il suo storico "partner", Ronald Reagan. Il film strappò il velo del silenzio accelerando il giudizio della storia e facendo riemergere nel dibattito della crisi di oggi il lascito di ieri.

L'Inghilterra, nel bene e nel male, è ora scolpita a sua immagine e somiglianza. Lungo la silhouette intellettuale di una fervente metodista, figlia di un droghiere di Grantham nel Lincolnshire. Al padre la giovane Margaret Roberts ha sempre riconosciuto il merito di averla educata secondo i principi di una vita ad alto tasso di moralità, oltre le trincee del politically correct, sfidando la volontà dei più per affermare quella del singolo. Queste convinzioni la portarono a misurarsi, sul piano del confronto sociale, con le potenti Trade Unions della Londra anni Settanta Ottanta prologo al durissimo scontro con i minatori di Arthur Scargill. Molti, non a torto, fanno risalire proprio a quel drammatico braccio di ferro, declinato con il Big Bang della deregulation nella City di Londra e la "vendita" dello Stato ai privati, i tre pilastri della rivoluzione thatcheriana.

Le privatizzazioni avrebbero dovuto trasformare e di fatto trasformarono un mondo di iscritti al sindacato in un mondo di piccoli azionisti mutando la geografia dell'elettorato Tory capace di conquistare le classi medie e medio basse deluse dalla lunga notte laburista di fine anni Settanta. L'apertura della City alle nuove regole accelerò la trasformazione di una società frenata da una manifattura che non riusciva a mantenere in un Paese ad altissimo tasso di servizi, se oggi solo quelli finanziari rappresentano il 10 per cento dell'economia nazionale. Un salto che, all'epoca, parve significare modernizzazione, ma che è considerato oggi la vera ragione della crisi economica britannica eccessivamente sbilanciata verso l'industria del banking. Le colpe più che alla signora premier vanno imputate ai successori che poco fecero per correggere le punte più aspre, soprattutto sul piano sociale, della dirompente dottrina promossa dalla Lady di ferro.

Il resto nella sua lunga vita politica (vinse tre elezioni di fila) lo fece la fortuna, ne ebbe sempre molta a cominciare da quando scampò l'agguato dell'Ira a Brighton, e il carattere. Ne sanno qualcosa i partner europei piegati dallo sventolar di borsetta che accompagnò la battaglia per i rimborsi britannici dal budget comunitari. Lo sanno anche gli argentini per la guerra alle Falklands. Eventi chiave di una vita spesa in trincea, illuminata dall'approccio idelogico di un anticomunismo viscerale e dalle regole semplici scandite da dietro il bancone di Grantham da un fedele droghiere convinto assertore della forza dell'individuo contro il dominio dello Stato.

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