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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 06:40.

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ROMA
«Ci volle coraggio per quella scelta di larga intesa e solidarietà, imposta da minacce e prove che per l'Italia si chiamavano inflazione e situazione finanziaria fuori controllo e aggressione terroristica allo Stato democratico come degenerazione ultima dell'estremismo demagogico». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricordando ieri la figura di Gerardo Chiaromonte a vent'anni dalla scomparsa, ha ricordato il governo della solidarietà nazionale o della non sfiducia nato nel '76 con l'apporto del Pci guidato da Enrico Berlinguer dopo trent'anni di dura contrapposizione alla Dc al potere. Un ricordo che è anche un monito ai partiti nella situazione di stallo politico in cui versa l'Italia a pochi giorni dall'elezione del nuovo inquilino del Colle.
Allora, nell'Italia della guerra fredda e del terrorismo rosso, si trattò di un governo monocolore Dc guidato da Giulio Andreotti – il primo tra l'altro ad annoverare una donna tra i propri ministri (Tina Anselmi al Lavoro) – che si resse sull'astensione del Pci e degli altri partiti del cosiddetto arco costituzionale: Psi, Psdi, Pri e Pli. Il governo di solidarietà nazionale durò 590 giorni, fino all'11 marzo del '78. L'esperienza "consociativa" durò ancora un anno e attraversò il dramma del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. Proprio alla fine di quell'esperienza si è richiamato ieri Napolitano ricordando una divergenza tra lui e Chiaromonte: «L'unico momento, direi, in cui non ci trovammo, io e Gerardo, in piena sintonia, fu quello della concitata chiusura, da parte del Pci, dell'esperienza della solidarietà nazionale. Decisione che fu foriera di un arroccamento, che con Gerardo ci trovammo d'altronde ben presto uniti nel giudicare fuorviante». La situazione di allora era completamente diversa, e non a caso il presidente ha usato l'espressione «larghe intese», allora sconosciuta, per indicare un metodo valido per l'oggi di fronte alle opposte impuntature dei due maggiori partiti, Pd e Pdl. Napolitano ha innanzitutto voluto indicare un metodo, che è quello dell'assunzione di responsabilità della politica di fronte a momenti gravi del Paese. All'epoca c'era una «visione della politica come responsabilità cui non ci si può sottrarre», ha detto Napolitano quasi alludendo ad altre e ben diverse personalità. «Non è di questo, peraltro, che parlano certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici e in realtà si rivelano nel loro fanatismo negatrici e distruttive della politica». Il metodo da seguire, questo il lascito di Napolitano a una manciata di giorni dalla fine del suo settennato, è dunque quello della responsabilità e delle larghe intese. Le sue parole non vogliono essere l'avallo ad una ricetta piuttosto che a un'altra (la non sfiducia proposta da Bersani piuttosto che il governissimo proposto da Berlusconi). Sta ai partiti costruire la soluzione utile al Paese. Allora, in una situazione politicamente molto diversa da quella di ora, fu trovata la soluzione della non sfiducia. Che comunque fu accompagnata da un accordo politico in piena regola siglato dalla famosa stretta di mano tra Moro e Berlinguer.
L'indicazione di un metodo, quello della responsabilità, dunque. E anche la conclusione dei gruppi di lavoro istituiti per iniziativa di Napolitano, sulle riforme e sulle priorità economiche, che entro 10 giorni concluderanno il loro lavoro con dei documenti pubblici. Questa la strada per il successore, e per i partiti che dovranno provare a formare un governo.
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LA NON SFIDUCIA
Le elezioni del 1976
Le elezioni del giugno 1976 sancirono una netta affermazione del Pci, anche senza il temuto "sorpasso" (la Dc al 38% e il Pci al 34%). Il sistema era bloccato. La Dc non poteva governare né alleandosi col Psi (al minimo storico), né appoggiandosi ai piccoli partiti alleati, anch'essi ridimensionati. Unica soluzione un'alleanza Dc-Pci
Il Governo della non sfiducia
Nacque così il Governo monocolore guidato da Andreotti, detto «Governo della non-sfiducia» (grazie all'astensione del Pci e degli altri partiti dell'arco costituzionale) o di «solidarietà nazionale» per fronteggiare la gravissima situazione dovuta a inflazione, tensione finanziaria e terrorismo. Il Governo Andreotti III ottenne 137 sì e 17 no al Senato (su 315), alla Camera 258 sì e 44 no (su 630). E durò 590 giorni, fino all'11 marzo del '78. L'esperienza "consociativa" durò ancora un anno e attraversò il rapimento e l'uccisione (nel maggio '78) di Aldo Moro da parte delle Br

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