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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2013 alle ore 10:35.

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Non disse nulla di utile alle indagini quando tutti la cercavano e dopo che lui l'aveva uccisa. Negò ogni responsabilità quando, quasi un anno dopo, venne arrestato per sequestro di persona e omicidio: era ormai chiaro che Lea Garofalo, la sua ex compagna ma soprattutto per lui una scomoda testimone di giustizia calabrese, era la vittima di un caso di 'lupara biancà. Tuttavia, anche nel processo di primo grado l'uomo, Carlo Cosco, respinse più volte le accuse con decisione.

Ieri, invece, a distanza di oltre tre anni dalla morte della donna, da lui è arrivata una clamorosa confessione, ennesima svolta in una vicenda terribile che sembra non avere mai fine. Quasi in chiusura della prima udienza del processo d'appello, che si è aperto stamattina, Carlo Cosco, infatti, ha preso la parola per dichiarazioni spontanee e ha letto, senza accenni di emozione, poche righe scritte in un foglio. «Mi assumo la responsabilità dell'omicidio di Lea Garofalo», ha esordito l'uomo, davanti ai giudici della prima sezione della Corte d'assise d'appello di Milano.

Ad ascoltarlo, "nascosta" in un corridoio vicino all'aula, c'era sua figlia, Denise Garofalo, 21 anni, che vive da quasi tre anni sotto protezione, dopo aver accusato apertamente proprio il padre per l'uccisione della madre Lea, fornendo un contributo fondamentale alle indagini, tanto che si è anche costituita parte civile contro di lui.

«Io adoro mia figlia - ha affermato Carlo Cosco - merito il suo odio perchè ho ucciso sua madre». Poi un "strano" riferimento all'inutilità e alla "incomprensibilità" del programma di protezione a cui è sottoposta Denise: parole che possono sembrare anche inquietanti, perchè vengono da un uomo che è ritenuto dagli inquirenti legato ad una cosca della 'ndrangheta calabrese. «Io darei la vita per mia figlia - ha aggiunto - guai a chi la sfiora, prego di ottenere un giorno il suo perdono».

Denise è rimasta certamente "sorpresa" dalla confessione del padre. Tuttavia, come ha spiegato il suo legale, l'avvocato Vincenza Rando, quelle «poche parole non bastano». La ragazza si attende che l'uomo "dica tutta la verità" per chiarire anche quale ruolo hanno avuto gli altri imputati nell'uccisione.

Lea Garofalo venne sequestrata in pieno centro a Milano il 24 novembre del 2009 e poi uccisa - secondo la ricostruzione dell'accusa in primo grado - con un colpo di pistola e con il corpo poi sciolto nell'acido (il cadavere non venne mai trovato). Ammazzata erchè, stando alle indagini, aveva raccontato agli inquirenti calabresi fatti di sangue di una faida di 'ndrangheta. Il 30 marzo 2012 per l'ex compagno Carlo Cosco, per i fratelli di lui, Giuseppe e Vito, e per Rosario Curico, Massimo Sabatino e Carmine Venturino arrivarono sei ergastoli. A luglio, però, dopo oltre tre mesi dalla sentenza, Venturino, anche ex fidanzato di Denise, decise di parlare con il pm della Dda milanese Marcello Tatangelo. Lea Garofalo - mise a verbale il pentito - venne «uccisa materialmente da Carlo e Vito Cosco», strangolata con la corda di una tenda. «Dal 25 (novembre 2009, ndr) - ha chiarito il pentito - è iniziata la distruzione del cadavere, che non è stato sciolto nell'acido, ma carbonizzato fino a dissolverlo completamente». Venturino stesso partecipò, stando proprio al suo verbale, alla distruzione del corpo assieme a Rosario Curcio.

La versione del pentito, dunque, scagionerebbe gli altri due imputati: Giuseppe Cosco e Massimo Sabatino. In quei nuovi interrogatori, però, Venturino spiegò che Carlo Cosco aveva in mente di uccidere anche sua figlia Denise. Un dettaglio che, secondo l'avvocato Rando, è in netto contrasto con le affermazioni di oggi sul fatto che la «figlia non è in
pericolo». Per Marisa Garofalo, sorella di Lea, Carlo Cosco deve sapere «che nessuno lo perdonerà mai per quello che ha fatto: nè Denise, nè io, nè tutti i miei parenti».

Giovedì prossimo, intanto, i giudici decideranno se riaprire o meno il processo con l'ascolto in aula della deposizione di Venturino. Scelta che pare scontata vista l'evidenza delle "nuove prove" da lui fornite sul modo in cui è stata uccisa Lea. Il pm Tatangelo ha chiesto anche, tra le altre cose, di sentire due medici legali che hanno redatto una «consulenza archelogico-antropologico forense» su resti di ossa ritrovati in un magazzino tra Milano e Monza, dopo le dichiarazioni del pentito. «Vi è la certezza che quelle ossa rinvenute sono di Lea Garofalo», ha detto il magistrato.

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