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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 06:40.

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ROMA - «Dobbiamo fare veloce: si sbrighino o in un senso e o nell'altro. Io tornerei a votare, l'ho detto dal primo giorno. Tuttavia se Bersani e Berlusconi vogliono fare un bell'accordo se lo facciano ma veloce: sono passati 46 giorni. Se, invece, non la ritengono la soluzione più opportuna si vada a votare e si smetta di inseguire Grillo». Mentre Pier Luigi Bersani continua a tessere la tela per arrivare al suo governo di cambiamento dopo l'elezione del nuovo Capo dello Stato (ieri l'incontro con Roberto Maroni e la delegazione leghista), da Matteo Renzi continuano ad arrivare bordate che sembrano tese proprio ad evitare la soluzione che ha in mente il segretario del Pd. Ieri uno degli attacchi più forti, fino all'accusa velata di non avere a cuore i destini del Paese: «A Bersani dico: smetti di preoccuparti di me, e per la verità anche di te. Se ci occupiamo dell'Italia è meglio», ha detto rispondendo su La 7 a una domanda di Enrico Mentana.

Sembra davvero un partito sull'orlo della scissione, il Pd di questi giorni, in cui ognuno gioca una sua partita. Compreso il ministro Fabrizio Barca, che mentre prepara la sua piattaforma per il futuro congresso annuncia la sua iscrizione al partito. Eppure il rischio scissione, evocato per primo da Dario Franceschini, è escluso da tutti. Da Bersani («non abbiamo problemi di questo genere») fino allo stesso Renzi («non lascerò il mio partito neanche morto, troppi partiti personali... E che fanno, mi cacciano?», dice citando Gianfranco Fini versus Silvio Berlusconi).

Il segretario va intanto avanti con il suo progetto di governo di cambiamento – quasi un monocolore Pd che potrebbe nascere con la non sfiducia di Pdl e Lega – in cambio dell'elezione di un presidente gradito (o non sgradito) al Cavaliere e della condivisione di un percorso riformatore con la Convenzione per le riforme guidata da un esponente del centrodestra. L'incontro con Maroni di ieri non è andato male, e Bersani punta anche sul ruolo della Lega come "sponda" per convincere Berlusconi. L'ambizione è sempre quella di andare di fronte alle Camere con un mandato pieno, con o senza accordo esplicito con il Pdl (l'obiettivo minimo è, in caso di insuccesso, quello di restare comunque a Palazzo Chigi per traghettare il Paese verso urne anticipate). Ma la strategia di Bersani comincia ad apparire di corto respiro a molti nel Pd, visto che il Pdl non si sposta per ora dalla sua posizione di «o governissimo o voto».

Ieri è stato anche il giorno della "pace" tra Massimo D'Alema e Renzi a Firenze. L'incontro a Palazzo Vecchio è stato «lungo e cordiale», e non sfugge la simbologia dell'evento: da una parte il rottamatore, dall'altra il "rottamato", l'ex premier che guarda ai prossimi incarichi istituzionali in Italia e in Europa (non va dimenticato che nel giugno del 2014, dopo le elezioni europee, dovranno essere rinnovati tutti i vertici Ue). E in molti sottolineano come il gesto di D'Alema sappia di endorsement per Renzi per quanto riguarda la futura leadership del partito. «Renzi è una delle personalità più importanti del Pd», dice l'ex premier a scanso di equivoci. Quanto all'esclusione del sindaco dai grandi elettori, «è stato un'errore», ha detto D'Alema esprimendo così le sue perplessità sulle scelte del consiglio regionale toscano in merito ai grandi elettori da mandare a Roma per eleggere il Capo dello Stato.

L'endorsement di D'Alema, che comunque oggi vedrà il segretario, viene lo stesso giorno in cui Rosy Bindi boccia la proposta di governo di cambiamento di Bersani e sposa l'idea veltroniana (e dalemiana) di un governo del presidente o di scopo che dir si voglia: pochi punti condivisi con il Pdl per poi tornare al voto nel giro di un anno. Magari con Renzi candidato premier, come hanno già chiaramente "scelto" personalità del calibro di Enrico Letta e Dario Franceschini parlando del sindaco di Firenze come del «futuro» del partito. E nella partita della futura leadership entra anche Sel, se Gennaro Migliore legge così l'incontro di Firenze: «Con l'incontro di Palazzo Vecchio Renzi si è seduto al tavolo dei notabili del Pd. E anche con lui ci confronteremo».
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