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Questo articolo è stato pubblicato il 13 aprile 2013 alle ore 15:41.

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«Se chiudono le imprese, muore il nostro Paese». Giorgio Squinzi chiude così, tra gli applausi, la due giorni di Piccola Industria. Pochi minuti prima, le centinaia di imprenditori presenti avevano sollevato in aria il progetto Confindustria per l'Italia, presentato alle forze politiche prima del voto: «Questo è il nostro progetto, e noi lo difenderemo» dice Squinzi, pur constatando che al momento «sembra di stare in un grande gioco dell'oca: ogni giorno si riparte da capo».

Da un lato non solo c'è il «tempo scaduto», uno degli slogan del convegno, ma anche «la pazienza che ormai si è esaurita», una delle formule dette e ridette da tutti gli imprenditori che si sono alternati sul palco. Ma dall'altra c'è anche la crescita, unica e vera priorità per Confindustria, che oggi da Torino lancia anche un nuovo mantra: «Credito, investimenti, occupazione. Questo è il nostro credo»; come dice ancora Squinzi.

Sul tavolo, da ieri, c'è l'idea di un patto tra imprese e lavoratori, un patto della fabbrica per la competitività. Un tema, questo, su cui a Torino si sono confrontati anche Raffaele Bonanni della Cisl e Susanna Camusso della Cgil. Il primo non ha dubbi («la rappresentanza politica è in difficoltà, non deve entrare in crisi anche la rappresentanza sociale. Serve un'Italia nuova, sindacati e imprenditori devono stare in campo insiemea sostegno della parte migliore del Paese»),dalla leader della Cgil arriva un'apertura ma più tiepida: «Il patto dei produttori - dice Camusso - è un'idea che ci affascina da sempre, ma non facciamoci illusioni. Bisogna valutare le ferite che il sistema industriale ha. Chiudere la stagione delle divisioni e rimettere mano allas questione della rappresentanza».

Nella due giorni Torino le ferite aperte si chiamano fisco, grandi opere, burocrazia, pagamenti della Pa ma anche rapporto tra banche e imprese, con quel credito che «talvolta viene a mancare anche per le aziende più meritevoli», come dice il ceo di Intesa, Enrico Cucchiani. Tuttavia, ricorda Cucchiani, «le imprese sono troppo dipendenti dal credito bancario, devono finanziarsi più con i corporate bond e meno con i soliti crediti». E sulla crescita, avverte: «Dobbiamo crescere ma stiamo attenti, perché così come la meta, è importante la strada che scegliamo e non dimentichiamo il rischio delle derive populiste».

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