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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2013 alle ore 14:23.

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Dietro ai negoziati in corso tra i partiti sul nome da mandare al Colle, nascosta (ma sempre meno) si gioca la contesa sui destini prossimi venturi del vertice democratico. Come si può intuire dalle ultime riserve mostrate in pubblico da Matteo Renzi nei confronti del segretario, di una durezza mai così palese se non nel pieno della campagna per le primarie, le due questioni finiscono coll'intrecciarsi e di questo delicato passaggio l'elezione del capo dello Stato sarà solo il primo atto. Cui seguiranno (fatalmente) sviluppi più decisivi in base alle scelte del prossimo presidente della Repubblica, dal quale (e solo dal quale) dipende in definitiva l'esito della legislatura: scioglierà o no?

Lotte intestine e fibrillazioni
Per ora il Pd deve fare i conti con una lotta intestina accresciutasi negli ultimi giorni quanto a toni e sostanza dei punti in discussione. A misurare il grado di fibrillazione vale per esempio la reazione di Anna Finocchiaro all'altolà arrivato ieri dal «rottamatore» sul suo nome per il Quirinale. L'ex capogruppo dei democratici al Senato non si limita a definire quell'attacco «miserabile» e ancor più «ignobile» perché arriva dall'interno dello stesso partito. Che l'obiettivo sia affondare il colpo si capisce nel giudizio di Finocchiaro quando dal particolare si passa al generale, laddove dice «che chi si comporta in questo modo potrà anche vincere le elezioni, ma non ha le qualità umane indispensabili per essere un vero dirigente politico e un uomo di Stato».

Il "rischio calcolato" delle elezioni anticipate
Notare che il partito è diviso «è come dire che oggi c'è il sole» sintetizza sarcastico Ignazio Marino. Guardando i giornali e le dichiarazioni in effetti se ne ha ampia prova. Stefano Fassina, anche se non è una novità, attacca accusando Renzi di soffrire di un delirio di onnipotenza. Per Beppe Fioroni, dell'ala cattolica, si rischia di questo passo non la scissione del partito ma l'implosione. «Capiamo benissimo la reazione della vecchia politica, non abituata al confronto a viso aperto, travisando tutto come attacchi personali. A costo di apparire arroganti, preferiamo dire le cose in faccia», prova a controbattere Ernesto Carbone, deputato fra i più vicini a Renzi. Circola anche il sospetto che, in realtà, dietro l'appoggio a Prodi si celi l'obiettivo del sindaco di Firenze di portare il Paese alle urne a breve, visto che a quel punto l'ipotesi di larghe intese sarebbe impraticabile. «Renzi non ha fatto nomi per il Quirinale», obietta Carbone. «La nostra stima verso il Professore è ben nota. Detto ciò occorre però assolutamente allontanare ogni possibile sospetto di "giochino" legato all'elezione del capo dello Stato, che rimane in carica per sette anni e che dunque non può essere certo coinvolto in questo».

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