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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:28.

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Della cosiddetta riunione per gli auguri natalizi del 1991 nella quale venne deliberata la morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, riferì compiutamente Antonino Giuffrè nel corso del giudizio di rinvio svoltosi davanti alla Corte d'Assise d'Appello catanese.

Quelle dichiarazioni sono parte integrante della richiesta di custodia cautelare nei confronti di otto persone avanzata dal capo della Procura di Caltanissetta Sergio Lari, del procuratore aggiunto Domenico Gozzo e dei sostituti della Dda.

In particolare, l'ex capo mandamento di Caccamo, nel corso del suo esame dibattimentale, aveva dichiarato che alla riunione si era tenuta alla fine del 1991, in occasione degli "auguri natalizi" aveva partecipato, in rappresentanza del mandamento mafioso di Resuttana, Salvuccio Madonia il quale di lì a poco era stato tratto in arresto.

E' stato processualmente accertato che Madonia, in quel periodo latitante, venne catturato il 13 dicembre 1991, sicché la riunione può fondatamente collocarsi nella prima decade dello stesso mese, ossia in un periodo di poco antecedente rispetto all'esito in Cassazione del cosiddetto maxiprocesso.

A quella data – e in verità già dall'agosto del ‘91 – Totò Riina nutriva il fondato timore di un esito negativo del processo, nonostante i suoi spasmodici tentativi di ottenere una decisione favorevole.

Oltre a Madonia, alla riunione partecipò la quasi totalità dei rappresentanti liberi della commissione provinciale palermitana: Matteo Motisi, Giuseppe Farinella, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Michelangelo La Barbera, Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca, Raffaele Ganci, Salvatore Biondino, Giuseppe Montalto e Giuseppe Graviano.

Giuffrè aveva anche riferito del contenuto del discorso che, nell'occasione, Salvatore Riina aveva fatto ai presenti ed i temi che nella riunione erano stati trattati. In particolare: a) Riina aveva comunicato ai suoi sodali che si era «arrivati al capolinea» ed alla «resa dei conti». Il collaboratore di giustizia ha anche efficacemente descritto il clima che aveva accompagnato le parole pronunciate dal capomafia di Corleone, evidenziando di essere rimasto impressionato dall'atmosfera "gelida" che si era respirata in quei momenti; b) sempre Riina aveva proceduto a fare un elenco di nomi di soggetti nei confronti dei quali occorreva procedere alla "resa dei conti": prima quelli di Falcone, Borsellino e Lima, poi quelli di Martelli e Mannino; c) inoltre Riina aveva aggiunto che era arrivato il momento in cui ciascuno «si doveva assumere le sue responsabilità» e che, di fronte alla prevedibile reazione dello Stato, «ci pigliamo quello che viene».

Ebbene, muovendo dalle dichiarazioni di Giuffrè, la Corte d'Assise d'Appello di Catania aveva tratto le seguenti conclusioni in relazione alla posizione dell'indagato Salvuccio Madonia: la riunione aveva assunto un contenuto decisionale deliberativo. In altre parole, in quella sede si era deliberato un piano di morte preciso e riguardante ben individuati "personaggi eccellenti", tra i quali sicuramente Falcone.

Quella decisione presentava le seguenti caratteristiche: a) la volontà manifestata dai partecipanti alla riunione doveva intendersi come perfetta - e cioè completa in ordine ai delitti approvati – ed era stata espressa attraverso un "corale" silenzio alle parole pronunciate nell'occasione da Totò Riina; b) la riunione si connotava del requisito della "unitarietà", nel senso che in unico contesto (e, dunque, con un'unica manifestazione di volontà) era stata stabilita la morte di più "personaggi eccellenti", cioè quelli esplicitamente menzionati da Riina nel contesto del suo discorso; c) la volontà deliberativa manifestata da tutti gli esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana comprendeva esplicitamente anche i singoli "moventi specifici" sottesi ai vari delitti per i quali se ne era decisa l'esecuzione ed in particolare Falcone e Borsellino in quanto "vecchi nemici" di Cosa nostra ed ancora ritenuti, per il loro operato, estremamente pericolosi per le sorti dell'organizzazione, l'onorevole Lima poiché inaffidabile, non essendo intervenuto con efficacia per condizionare l'esito del maxiprocesso, gli onorevoli Martelli e Mannino in quanto giudicati dei "traditori" del sodalizio, non avendo ricambiato i benefici elettorali di cui avevano goduto nel corso del tempo; c) nel piano stragista deliberato dalla commissione provinciale palermitana di Cosa nostra era confluita, in relazione a Falcone e a Borsellino, l'originaria decisione di morte già assunta nei loro confronti agli inizi del 1980 e mai revocata.

Sicché, con specifico riferimento ai due magistrati, si legge nella richiesta della Procura nissena, la deliberazione adottata nel corso degli riunione per gli auguri natalizi del 1991 non aveva avuto natura "costitutiva" (nel senso di una decisione mai adottata in precedenza), quanto "rinnovativa" (di una volontà già compiutamente espressa nel passato) e di conferma dell'originario "movente specifico" per cui già in epoca pregressa venne adottata la decisione di ucciderli, in quanto i due magistrati erano e continuavano ad essere una spina nel fianco per l'organizzazione in ragione della persistente azione giudiziaria svolta.

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