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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 06:37.

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FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Nuovo allarme del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, sulle difficoltà del credito in alcuni Paesi dell'eurozona, soprattuto per le piccole e medie imprese.
Draghi, in un discorso pronunciato ieri ad Amsterdam, ha riconosciuto che le misure della Bce hanno il compito di rimuovere gli ostacoli al fatto che la politica monetaria dell'istituto raggiunga tutte le parti dell'area dell'euro. Questo è cruciale per rispettare il mandato della Bce, ha detto, ma non ha indicato come l'Eurotower intenda procedere. Nei giorni scorsi aveva parlato di considerare tutte le opzioni, «a 360 gradi».
In risposta agli studenti dell'università di Amsterdam, dove è intervenuto, ha detto che la questione è «molto, molto difficile», e ha aggiunto che altrove programmi per far arrivare il credito alle Pmi hanno avuto scarso successo, in riferimento al piano Funding for Lending della Banca d'Inghilterra. Anche ieri Draghi ha parlato del possibile uso di misure «non convenzionali», piuttosto che un ulteriore ribasso dei tassi d'interesse, oggi al minimo storico dello 0,75%.
La politica monetaria della Bce, ha ricordato, resta «molto espansiva». Alla conferenza stampa di due settimane fa, aveva peraltro affermato che la Bce è «pronta ad agire» se il quadro economico dovesse ulteriormente peggiorare.
Il banchiere centrale italiano ha definito «gravi» le conseguenze per l'economia del l'area euro se le banche in alcuni Paesi non prestano a tassi ragionevoli e «specialmente preoccupante» che le Pmi siano le più colpite dalla scarsità o dal costo del credito, dato che esse rappresentano i tre quarti circa dell'occupazione nel l'eurozona.
Draghi ha spiegato che le imprese che hanno sede nei Paesi europei in difficoltà soffrono di condizioni del credito peggiori di quelle basate negli altri Paesi, a parità di rischio. E che le Pmi soffrono più delle grandi imprese, le quali hanno accesso più facile ai mercati dei capitali e sono meno dipendenti dal settore bancario.
Secondo Draghi, i problemi del panorama economico dell'area euro sono tuttora gravi. Ma ha fatto appello ancora una volta ai Governi perché risolvano le cause alla radice della crisi, cosa che la Bce non può fare.
La via d'uscita dalla crisi è, secondo il numero uno dell'Eurotower, anzi tutto il rilancio della competitività dei Paesi in difficoltà, «perseguendo con determinazione un'agenda ambiziosa di riforme strutturali». Queste sono misure che vanno prese a livello nazionale, come la lotta agli interessi particolari che frenano la concorrenza, e alle debolezze strutturali della produttività. Ma richiama anche interventi a livello europeo per il completamento nel mercato unico, soprattutto nel settore dei servizi, e per una maggior mobilità del lavoro nell'area dell'euro.
Alcune misure, seppur dolorose, in particolare nei Paesi che hanno dovuto far ricorso agli aiuti internazionali, hanno cominciato a portare frutto in Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna, ha osservato il presidente della Bce.
Alle riforme strutturali si devono accompagnare, secondo Draghi, il risanamento dei conti pubblici e il rafforzamento dei bilanci delle banche. Tutti questi compiti però non sono la responsabilità della politica monetaria, ha detto, rilanciando ancora una volta la palla ai Governi.
Draghi ha ricordato «le sofferenze economiche di molti cittadini in alcune parti dell'area euro, in particolare la disoccupazione massiccia, soprattutto fra i giovani», ma si dichiara fiducioso che molti elementi per rimuovere le cause della crisi siano stati avviati, anche se vanno messi in atto.
Il presidente della Bce ha dichiarato inoltre che la Banca del Giappone non ha iniziato una «guerra deLle valute» per svalutare lo yen, con la sua politica di massicci acquisti di titoli, anche se ogni azione delle banche centrali, soprattutto di grandi dimensioni, può avere ripercussioni altrove. Il tema sarà discusso dal G-20 questa settimana a Washington.
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