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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 08:41.

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Siamo arrivati al nocciolo della questione. Un sistema malandato, che Giorgio Napolitano ha tenuto in linea di galleggiamento solo grazie alla sua personalità e al suo prestigio, cerca un punto di equilibrio immaginando un "nuovo" Napolitano, qualcuno capace d'interpretare il medesimo ruolo svolto per sette anni dal capo dello Stato uscente. Nel frattempo la crisi è precipitata, le istituzioni sono sfibrate e tutto è molto più difficile che nel 2006.

Non a caso è fiorito il fenomeno anti-sistema di Beppe Grillo, il quale ora sta giocando le sue carte con una certa abilità e con l'obiettivo di scompaginare quel che resta di un vecchio assetto politico-istituzionale.
L'idea di puntare su Milena Gabanelli, eccellente giornalista televisiva d'inchiesta, facendo di lei la "bandiera" dei Cinque Stelle (anche se è persona estranea al movimento), contiene in sé un paio di evidenti significati. Il primo è che Grillo vuole marcare la distanza fra sé e l'asse del compromesso Pd-Pdl. Lui è l'unico puro rispetto alle sordide manovre dei politici. Lui presenta un nome fresco e innovativo rispetto ai personaggi "del passato", quali Amato, Marini o altri. Siamo alla ripresa in grande stile della campagna anti-casta e contro qualsiasi intesa che si proponga di gestire gli equilibri istituzionali. La potremmo definire la seconda fase della "rivoluzione" grillina, anche se nessuno sa bene cosa ci sia dietro l'angolo.
Secondo, la Gabanelli resta pur sempre un nome simbolico. All'occorrenza, magari dopo le prime votazioni, può lasciare il posto a un volto più adatto al Quirinale, assai meglio attrezzato dal punto di vista giuridico e dunque più capace di sedurre la vasta platea parlamentare del centrosinistra. In una parola, un nome eleggibile. Del resto, Stefano Rodotà è terzo nella peculiare graduatoria web dei Cinque Stelle. E Rodotà è un nome che può incunearsi con una certa facilità nelle contraddizioni interne del Partito Democratico. Può dividerlo facendo intravedere che "un altro Quirinale è possibile", che non è obbligatorio scegliere il capo dello Stato attraverso un accordo più o meno misterioso con Berlusconi.

S'intende, questo messaggio è distruttivo per il Pd di Bersani. Difficile prevedere nel dettaglio quali sarebbero le conseguenze di una strategia grillina vittoriosa, ma c'è da aspettarsi che siano clamorose e destabilizzanti. Se Grillo vuole scardinare il centrosinistra, ha imboccato la strada giusta. Può offrire prima o poi ai "grandi elettori" un nome alternativo e confidare sulla scarsa compattezza dei gruppi parlamentari.
Come si reagisce a questo disegno? Intanto prendendo nota di quello che ha detto ieri Napolitano commentando la strage di Boston: l'Italia non può isolarsi, non può rinchiudersi in se stessa e nelle proprie inquietudini. Come dire che il sistema, se vuole sopravvivere, deve avere la forza di auto-riformarsi, di aggiornare la Costituzione, di emendarsi dai propri errori. Ma senza smarrire la rotta rispetto al mondo circostante. In secondo luogo, chi ha la responsabilità di eleggere un nome condiviso e autorevole attraverso un'intesa fra Pd e Pdl (Giuliano Amato?) deve dimostrarsi capace di farlo. Ci vuole tempra, volontà politica e capacità di mantenere la disciplina nei gruppi parlamentari. Ci vuole in particolare tempismo: la finestra di opportunità è molto breve. Dalla quarta o quinta votazione lo scenario cambierà e la tattica potrebbe favorire le spinte anti-sistema.

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