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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2013 alle ore 06:40.

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ROMA
Non era solo l'interrogativo sul nome per il Colle che ieri animava i capannelli di parlamentari in Transatlantico. Il vero tema era se bisognava – e in fretta – prepararsi a una nuova campagna elettorale visto che dopo quasi due mesi di stallo si è arrivati al nuovo blocco di ieri. Usando il gergo borsistico, le quotazioni del titolo-voto ieri erano in forte ascesa mentre chiudeva in ribasso il titolo-Governo. È chiaro che non siamo ancora all'epilogo ma certo la prima curva dell'elezione per il capo dello Stato, presa così male da Pier Luigi Bersani e dal suo entourage, rende più difficile il metodo della condivisione con il Pdl e allontana l'ipotesi di un governo. Del resto è quello che – si dice – voglia Matteo Renzi uscito vincitore dopo la debacle-Marini. Ma Paolo Gentiloni, uno dei deputati Pd più vicini al sindaco di Firenze e suo consigliere, non dà per scontate le elezioni. «Non è il funerale al metodo della condivisione, è il funerale del governo di minoranza di Bersani. Ed è la giornata della spaccatura conclamata del Pd: o si riparte da un lavoro di ricucitura nel partito o la strada per il Colle diventa tortuosa e si entra in campagna elettorale».
Insomma, non siamo già ai titoli di coda di questa legislatura visto che dei tentativi di intesa con il Pdl ancora resistono. Anche dalla sponda opposta che continua a puntare sulle larghe intese come fa Maurizio Sacconi, ex ministro Pdl del Welfare. «I 521 voti a Franco Marini in realtà dimostrano che non è stato il metodo della condivisione a essere stato bocciato dai grandi elettori ma piuttosto su Marini si sono scaricate le tensioni interne al partito di Bersani. Credo quindi che la strada di un patto Pd-Pdl sia ancora in campo». Il punto è proprio questo: capire se nel Pd si farà di nuovo un cambio di gioco tornando indietro al metodo-Grasso più che a quello Marini. Andrea Orlando, per esempio, che ha votato Marini (pur non tacendo tutti i suoi dubbi sulla scelta di Bersani) crede che ora sia più difficile mantenere il metodo della condivisione. «Non è più aria per larghe intese, ed è più difficile immaginare un governo che possa fare alcune riforme. Il quadro politico si è inasprito e, in queste ore, è più facile immaginare le elezioni».
Dunque, voto subito perchè l'unica strada che porta a un governo è quella di una collaborazione con il Pdl «per fare la legge elettorale: è chiaro che quello deve essere l'obiettivo e solo con il Pdl si può centrare», insiste Gentiloni che non nasconde quanto sia ambizioso (o velleitario) pensare – ora – a una riforma del Porcellum. Altrimenti, senza la sponda del Pdl si va a uno schema di intesa con Grillo con Rodotà o Grasso al Colle e con un Esecutivo – dal fiato corto – ma che prenda una curvatura tutta a sinistra. «Uno scenario che darebbe al Paese un Governo anti-impresa e anti-sviluppo», attacca Sacconi. Chi non ci crede è Massimo Corsaro: «Ma è Grillo che non vuole, perchè correre il rischio di invischiarsi con il Pd quando per loro sono meglio le elezioni?». Domanda sensata che è la stessa che si fa Maurizio Gasparri e con la stessa risposta: «Se ci sarà un Governo, sarà solo con il Pdl. Ora la strada è in salita, probabilmente sono più vicine le urne ma un Esecutivo con Grillo non lo vedo proprio».
E alle urne porterebbe anche l'elezione di Romano Prodi al Colle: almeno è quello che sussurrano alcuni parlamentari bersaniani che sono sicuri di un patto di ferro Prodi-Renzi per andare al voto a ottobre. Infine, ma non alla fine, c'è l'opzione di Massimo D'Alema al Colle che è quella che invece darebbe qualche spiraglio a un governo per le riforme con un sostegno soft del Pdl. Ma il punto è uno, come si ricompatta il Pd? Senza una logica unitaria non si riesce a fare un capo dello Stato e meno che mai un governo. E così ci si rifugia ancora in uno schema non-politico come quello che porterebbe al Colle Franco Gallo, presidente della Consulta, o Sergio Chiamparino che è – sì – un politico ma da sindaco ha solo sfiorato le dinamiche conflittuali nazionali. Due nomi digeribili per il Pd e forse anche per favorire un governo di scopo.
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