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Questo articolo è stato pubblicato il 20 aprile 2013 alle ore 08:16.

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TORINO - Cinquantadue consiglieri su 60, compreso il presidente Roberto Cota. Tanti sono gli amministratori della Regione Piemonte raggiunti ieri mattina da avvisi di garanzia e inviti a comparire nell'ambito dell'inchiesta sulle spese dei gruppi consiliari avviata a settembre scorso dalla Procura. A metà maggio dovrebbero esserci gli interrogatori di garanzia da parte dei pubblici ministeri titolari del procedimento: il procuratore aggiunto Andrea Beconi, i sostituti Enrica Gabetta e Giancarlo Avenati Bassi.
Un'inchiesta avviata all'indomani di una intervista rilasciata dall'ex consigliere e assessore della giunta Cota, Roberto Rosso, su rimborsi elargiti a un consigliere regionale per «pagarsi le vacanze». All'intervista erano poi seguite le scuse di Rosso al Consiglio, l'avvio dell'indagine conoscitiva e l'arrivo della Guardia di finanza nelle sedi dei gruppi, per prelevare materiale e documenti. A dicembre scorso il primo passaggio, con l'avviso di garanzia a 4 capigruppo fino alle notifiche di ieri, praticamente a tutto il Consiglio. Dentro al calderone è finito anche il presidente Roberto Cota che ha ribadito di aver già chiarito nei mesi scorsi la sua posizione con gli inquirenti: «Confido che la mia posizione verrà chiarita – ha sottolineato – e sarà accertata la mia totale buona fede. La Regione versa in un momento difficile. È mio dovere restare e affrontare con senso di responsabilità istituzionale questo momento di grande disagio sociale». Insieme a esponenti di tutti i partiti – compreso il Movimento 5 Stelle – che ora si difendono: «Abbiamo agito in buona fede, seguendo per le pratiche dei rimborsi quanto indicato dal Consiglio».

Secondo le indiscrezioni, tra i rimborsi dei consiglieri, dal 2008 in avanti, era finito un po' di tutto: dai pranzi per i collaboratori, alle spese di rappresentanza, agli acquisti personali – borse, gioielli, massaggi e buoni benzina – ai regali di nozze, ai volantini per la campagna elettorale. Spese contestate per oltre un milione di euro. Il reato formulato dalla procura di Torino è il peculato, ma ci sono anche ipotesi di finanziamento illecito ai partiti (per l'ex presidente Mercedes Bresso) e truffa. Il Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli parla di differenze assai rilevanti tra le posizioni, «sia per la causale dei rimborsi sia per l'ammontare dei medesimi». Solo lo sviluppo e la conclusione dell'inchiesta, aggiunge Caselli, potranno consentire una precisa definizioni delle responsabilità.

A dettare le regole in fatto di spese e rimborsi era una vecchia legge del 1972. Nell'arco di quasi quarant'anni le risorse destinate ai gruppi sono arrivate a quota due milioni e le regole sono rimaste le stesse, imprecise e lacunose, come ora tutti si affrettano a definire. Al centro dell'inchiesta, in particolare, le "spese di funzionamento" dei gruppi, dunque le voci di pagamento dei collaboratori, quelle per la gestione ordinaria (dalle fotocopie alle utenze telefoniche) fino alle spese di esercizio della funzione politico-istituzionale.

«Abbiamo ridotto a 500mila euro le risorse per i gruppi consiliari – spiega Valerio Cattaneo, presidente del Consiglio regionale del Piemonte – e cambiato la legge a fine 2012, introducendo regole chiare per spese e rimborsi e maggiore trasparenza, oltre all'obbligo di rendicontazione e il collegio dei revisori dei conti». Un'inchiesta come quella in corso su oltre un milione di euro di spese contestate oggi, forse, sarebbe dunque più difficile. Magra consolazione.


«Nel Partito democratico non ci sono casi Fiorito o fatti in qualche modo assimilabili a quanto avvenuto in altre regioni italiane» ha commentato il segretario piemontese del Pd, Gianfranco Morgando, in merito agli avvisi di garanzia consegnati a sei consiglieri Pd. Niente giudizi sommari ha sottolineato Enrico Costa, coordinatore regionale del Pdl, che ha ribadito la possibilità che i consiglieri avranno nelle prossime settimane di chiarire la propria posizione.

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