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Questo articolo è stato pubblicato il 22 aprile 2013 alle ore 07:56.
Silvio Berlusconi vuole un governissimo, il Pd, ancora alle prese con lo tsunami interno, risponde in ordine sparso mentre Beppe Grillo si frega le mani scommettendo su una rapida fine dell'esecutivo che verrà. All'indomani della rielezione di Giorgio Napolitano le forze politiche continuano a camminare in ordine sparso né più né meno come qualche giorno fa.
Probabile che sia solo un modo per mantenere il punto e riempire l'attesa, in vista del discorso che Napolitano pronuncerà oggi pomeriggio subito dopo il suo secondo giuramento da Capo dello Stato. Sarà infatti quel discorso a dettare la linea sulla quale i partiti, che hanno chiesto a re Giorgio di non scendere dal Colle, dovranno necessariamente convergere.
Nel frattempo le posizioni restano distanti. E probabilmente ha ragione Maurizio Gasparri (Pdl) quando sostiene che «prima di tutto dobbiamo verificare se esistono le possibilità perché questo governo nasca». Un dubbio che esprime guardando ovviamente in casa Pd, dove anche ieri si è assistito a una pluralità di posizioni che potrebbero pericolosamente riproporsi al momento dell'eventuale voto di fiducia.
Il partito è nel mezzo della tempesta, ancora non è stato neppure deciso chi salirà al Quirinale per le consultazioni e come segnala Mattero Orfini, uno dei cosiddetti Giovani turchi, se al più presto il partito non ritroverà una linea c'è il rischio che il Pd «non sia in grado di garantire il rispetto di quello che andremo a dire al Colle».
Il tam tam su un eventuale ingresso a Palazzo Chigi di Enrico Letta (smentito peraltro seccamente dal diretto interessato) è stato interrotto dalla presidente dimissionaria Rosy Bindi, che esclude possa esserci un governo «guidato né avere tra i suoi ministri figure politiche di primissimo piano». Insomma, se questa sarà la linea, il Pd apre solo all'ipotesi del cosiddetto «governo di scopo» ed esclude le larghe intese.
Posizione opposta a quella del Pdl. Il Cavaliere ieri è tornato ad Arcore e rientrerà a Roma in tarda mattinata. Berlusconi vuole un governo con ministri politici e intanto torna a riproporre i suoi cavalli di battaglia della campagna elettorale a partire dal rimborso e dall'abrogazione dell'Imu. «Sosterremo con forza gli impegni contenuti nel nostro programma» ha detto il segretario Angelino Alfano mentre Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto rilanciano la proposta dell'assemblea costituente per le riforme.
La Lega è attendista. Il partito di Maroni è pronto al governissimo, anche se pone il veto sul nome di Giuliano Amato alla guida dell'esecutivo. Una mossa che serve al Carroccio anche per tenersi a distanza di sicurezza. «Vediamo che intenzioni ha Napolitano...», è il ragionamento che si fa tra i leghisti.
«Si mettano da parte veti e pregiudizi e si ascolti con attenzione quanto verrà a dirci Napolitano», è invece il monito che arriva dal capogruppo al Senato di Scelta civica Mario Mauro, che è stato anche uno dei 10 saggi del Presidente. Il suo omologo alla Camera Lorenzo Dellai è ancora più netto: «Votando Napolitano i partiti si sono tagliati i ponti alle spalle ed ora hanno di fronte solo un sentiero: quello della responsabilità». In altre parole: non hanno scelta. La strada sarà quella indicata da re Giorgio e dovranno percorrerla. Anche perché contrariamente all'elezione del Presidente della Repubblica nel caso della fiducia il voto è palese.
Le voci di corridoio continuano a dare in pole position Giuliano Amato alla presidenza del Consiglio, anche se potrebbe tornare utile per un governo del presidente Anna Maria Cancellieri. Mentre per il minisero dell'Economia si prefigurerebbe un'ipotesi più politica (sempre Letta?) per rendere visibile la volontà del nuovo esecutivo di perseguire oltre al rigore dei conti anche la strada della crescita. Tra i papabili nella squadra di governo possibili conferme per Riccardi, Balduzzi e Severino.
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