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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2013 alle ore 06:36.

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ROMA
Gli aggettivi si sprecano e almeno su questo tra Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani c'è totale sintonia. «Straordinario», è il giudizio di un Cavaliere raggiante, che dice di non aver mai ascoltato nulla di simile nei suoi vent'anni di vita politica e attribuisce a Giorgio Napolitano anche il merito di aver archiviato «la parola inciucio». «Eccezionale», replica a qualche decina di metri di distanza l'ex premier incaricato del Pd, sottolineando «l'efficacia» delle parole del Capo dello Stato. Forse non ha torto Massimo Cacciari a definire quella di ieri una pagina del teatro dell'assurdo di Eugene Ionesco, con il Presidente che «striglia i partiti, parla di malaffare e tutti applaudono». Ma in questi giorni di follia politica non c'è da rimanere stupiti.
Il discorso di Napolitano non si presta a interpretazioni. La rapida discesa dello spread sotto quota 280 e il recupero di Piazza Affari sono una risposta più che eloquente. Il Presidente della Repubblica si prepara a dare l'incarico per la formazione del governo, che non potrà che essere votato da una maggioranza anomala, visto che nessuna delle coalizioni politiche uscite dalle ultime elezione ha numeri sufficienti per essere autonoma.
Poco importa la «formula» con cui i partiti vorranno ribattezzare il nuovo esecutivo. Come dice Matteo Renzi, «l'accordo con il Pdl è un dato di fatto». Lo sanno anche nel Pd uscito sconfitto, in primis Bersani, ma anche Letta, Franceschini e Bindi che ammette: «un governo si deve fare, vediamo con chi...». I democratici si riuniranno oggi pomeriggio per decidere come muoversi. Qualcuno spera ancora nel compromesso del cosiddetto Governo del Presidente, senza quindi ministri propriamente «politici».
Opposta la posizione di Berlusconi. «Serve un governo forte, solido e duraturo, che resista nel tempo», avverte l'ex premier che parla esplicitamente di «esecutivo politico», altrimenti «meglio le elezioni». E a chi gli chiede un parere sull'ipotesi di Giuliano Amato premier, replica con uno stentoreo «non parliamo ora di nomi».
In effetti i «nomi» nessuno al momento li conosce. «Napolitano non ha parlato con nessuno, ci consegnerà la lista e noi ne prenedermo atto», era la convinzione ieri di molti parlamentari. Certo un governo può vedere al suo interno personalità di matrice politica chiara anche se al momento sono non sono parlamentari o lo sono in veste di indipendenti. Un esempio? Massimo D'Alema, per cui si parla con insistenza di un ritorno alla Farnesina (ministero per cui concorrerebbe anche Mario Monti) o Carlo Dell'Aringa al Welfare e Giancarlo Galli allo Sviluppo. Lo stesso potrebbe valere per Gianni Letta, da sempre il più fidato consigliere del Cavaliere o per l'ex ministro Antonio Martino. Se invece dovesse prevalere un'ipotesi più hard entrerebbero direttamente come vicepremier Alfano e Enrico Letta, che viene inserito anche nella casella di possibile premier, così come Renzi che però smentisce. Anche perché a indicarlo per la premiership è stato il giovane turco Matteo Orfini, che certo non è un alleato del sindaco di Firenze. Ci saranno poi alcune conferme. Tra i nomi più accreditati: Severino, Balduzzi, Cancellieri, Moavero con new entry tecniche come De Rita.
Anche la Lega sembra aver messo il piede sul freno. Dopo i veti su questo o quel presidente del Consiglio, ieri Roberto Maroni ha twittato uno stentoreo: «Bene Napolitano. Governo subito o tutti a casa». Se il Carroccio dovesse entrare nell'esecutivo è probabile la promozione a ministro del «saggio» Giancarlo Giorgetti.
Unica voce critica quella del Movimento 5 stelle. I grillini rimasti sempre inchiodati sulle loro sedie a braccia conserte hanno definito quello di Napolitano «un discorso politico, in barba al ruolo di garanzia che un Capo dello Stato dovrebbe mantenere».
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