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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2013 alle ore 06:41.
ROMA
Chi non vota la fiducia al governo di Enrico Letta è fuori dal Pd. È il mantra di queste ore nel Partito democratico. Lo ripetono i capigruppo Luigi Zanda (Senato) e Roberto Speranza (Camera) nei loro contatti con i parlamentari. E ieri lo ha ribadito con estrema chiarezza Francesco Boccia, lettiano di ferro e in pole position per un ruolo ministeriale importante nel costituendo governo: «Nessuna minaccia ai colleghi ma ci sono delle regole che vanno rispettate ed è chiaro che chi non dovesse votare la fiducia al governo sarebbe fuori dal partito».
In effetti, come ricorda Zanda, «la fiducia è un atto solenne». Ossia l'atto più politico che c'è. Non si è mai visto un partito che si divide sulla fiducia a un governo, e quando si è visto ha preluso a scissioni (ultima a sinistra quella del Pdci da Rifondazione comunista per sostenere il governo D'Alema succeduto a Prodi nel '99). Eppure, se dirigenti e capigruppo di un Pd ancora acefalo (sarà l'assemblea del 4 maggio a indicare il successore di Pier Luigi Bersani) insistono tanto sul punto è perché il malessere tra i parlamentari democratici verso le larghe intese con il Pdl è ancora fortissimo, e gli oltre duecento franchi tiratori che hanno affossato Franco Marini sono ancora lì.
L'area del dissenso è dunque vasta, anche se adirsi contrari alla luce del sole sono solo Pippo Civati, Laura Puppato e Sandro Gozi. «Almeno il 25 aprile non parliamo di espulsioni», ha detto ieri Civati reagendo all'ultimatum di Boccia. Indispettita dagli ultimatum anche la prodiana Sandra Zampa: «Suggerisco a questi dirigenti che dovrebbero oggi interrogarsi sulle ragioni del disastro prodotto, di essere più prudenti e rispettosi del travaglio cui ogni democratico è oggi sottoposto».
Anche se a conti fatti tutti o quasi tutti voteranno la fiducia a Letta, il travaglio in effetti c'è. E la preoccupazione è che – soprattutto se nell'esecutivo dovessero entrare personalità del Pdl particolarmente invise ai democratici – i maldipancia possano riemergere sui singoli provvedimenti. Anche di questo hanno parlato ieri i capigruppo nell'incontro serale che ha chiuso le consultazioni del premier incaricato Letta. E anche per questo si sta trattando con il Pdl affinché l'esecutivo, fatta salva la presenza di politici, abbia un tasso di novità alto e non comprenda personalità particolarmente divisive. E divisive per il Pd non sono solo alcune personalità del Pdl come Renato Schifani o Renato Brunetta, ma anche alcuni dei big democratici: «D'Alema agli Esteri non aiuta, bisogna pescare un po' fuori», sentenzia Debora Serracchiani, che pure si dice d'accordo sull'espulsione di quanti dovessero votare contro la fiducia al governo Letta.
In questo travaglio si pone senz'altro come mediatore Matteo Renzi, che sta meditando in questi giorni sull'opportunità di gettarsi subito in campo per la guida del partito. «Chi dice che non vuole fare l'accordo Pd-Pdl oggi ha sicuramente ragione, perché nessuno vuole stare insieme tra Pd e Pdl, ma non ci sono alternative se si vuole evitare l'immediato ritorno alle urne. Noi non vediamo l'ora che ci sia un momento in cui civilmente Pd e Pdl si confronteranno alle elezioni, e vinca il migliore». quanto al partito, ci si pensa una volta nato – se nascerà – il governo Letta. La strada indicata un po' da tutti è quella di una segreteria collegiale che porti il Pd al congresso a settembre, con annesse primarie per la leadership.
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I CONTRARI
L'area del dissenso
Gli scontenti di un Governo Pd-Pdl usciti alla luce del sole sono solo Pippo Civati, Laura Puppato e il prodiano Sandro Gozi. Indispettita dagli ultimatum contro chi non voterà la fiducia al governo Letta anche la prodiana Sandra Zampa
Nodo ministri Pdl
Anche se quasi tutti voteranno la fiducia al Governo Letta, l'area del dissenso potrebbe allargarsi (ed esplodere su singoli provvedimenti) se nell'esecutivo dovessero entrare esponenti Pdl invisi ai democratici (come Brunetta o Schifani)