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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2013 alle ore 06:41.

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L'uso di armi chimiche in Siria sono una «linea rossa» invalicabile: «il gioco potrebbe cambiare», aveva detto qualche tempo fa il presidente americano Barack Obama. Ed ecco che la linea rossa sarebbe stata superata: il condizionale è d'obbligo perché gli Stati Uniti _ ha sottolineato un portavoce_ non vogliono ripetere gli errori compiuti nel 2003 con l'attacco di Bush junior all'Iraq di Saddam, accusato di avere un arsenale di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate.
Ma l'escalation internazionale di questo conflitto, che dal 2011 ha causato oltre 70mila morti, è nell'aria, al di là delle soppesate dichiarazioni americane. Gli alleati europei degli Stati Uniti, in primo luogo Gran Bretagna e Francia, stanno scaldando i motori della macchina da guerra per esaminare un possibile intervento militare e hanno avviato consultazioni con le altre potenze Nato, tra queste anche l'Italia.
Il capo del Pentagono Chuck Hagel ha affermato ieri che le forze del presidente Bashar Assad potrebbero aver usato una «piccola quantità di armi chimiche», in particolare di sarin, un gas nervino. Hagel ha precisato però che si tratta di «valutazioni» dell'intelligence, contenute in una lettera consegnata a diversi membri del Congresso. La Casa Bianca ha voluto sottolineare «che queste valutazioni non bastano»: devono essere «credibili e corroborate dai fatti». Se sarà provato l'uso di armi chimiche da parte del regime e il superamento della “linea rossa” gli Stati Uniti si consulteranno con gli alleati per decidere quale risposta dare. E ovviamente la diplomazia Usa continua a ripetere che «tutte le opzioni sono sul tavolo», una frase che abbiamo sentito un'infinità di volte: serve un pò a prendere tempo e in parte anche ad analizzare costi e benefici di una missione che potrebbe avere conseguenze imponderabili. Finora gli Stati Uniti non hanno dimostrato un grande entusiasmo nel coinvolgimento nella guerra civile siriana: all'ultima riunione di Istanbul degli “Amici della Siria” il segretario di Stato John Kerry ha annunciato nuove forniture “non letali” ai ribelli (circa 120 milioni di dollari) ma Washington esita a inviare armi, soprattutto missili da impiegare contro l'aviazione di Assad. Una posizione condivisa con l'alleato israeliano, che pur accusando esplicitamente il regime di usare armi chimiche, vede con sospetto l'arrivo di armi in Siria che potrebbero cadere nelle «mani sbagliate», cioè in quelle di gruppi islamici radicali come Jabat al Nusra, affiliato ad Al Qaida. Il coinvolgimento di Israele, che occupa dal '67 le alture del Golan, appare però quasi inevitabile, anche in maniera indiretta. Scalpitano per intervenire gli inglesi. Hanno ottenuto dalla Ue di togliere l'embargo all'export di petrolio in mano ai ribelli: lo stesso era accaduto in Libia con Consiglio transitorio dei ribelli che controllava Bengasi. E fanno pressioni con i francesi per inviare armi alla guerriglia. Vorrebbero applicare insomma il “metodo libico” e hanno anche un piano: bombardare gli arsenali del regime con missili da crociera lanciati dagli aerei. In Europa li hanno soltanto tre Paesi: Gran Bretagna, Francia e Italia. Per questo bussano anche alla nostra porta.
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