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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 08:14.

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Sigmundur David Gunnlaugsson e Bjarni Benediktsson (Ap)Sigmundur David Gunnlaugsson e Bjarni Benediktsson (Ap)


Non è bastato uscire dalla crisi. L'Islanda al voto ieri ha riportato al Governo i due partiti di centro-destra che hanno guidato l'isola per 13 anni, durante i quali sono stati sparsi i semi della pesantissima crisi creditizia ed economica scoppiata nel 2007. È stata così punita la coalizione di centro sinistra guidata dal socialdemocratico Árni Páll Árnason che aspirava a prendere il posto del premier uscente Johanna Sigurdardottir, primo capo di governo al mondo apertamente omosessuale.

Non mancano le incertezze. Il risultato del Partito pirata, innanzitutto, e quello del Bright future, pro-euro, erede di quel Best Party che nel 2010 è riuscito a far eleggere il comico Jón Gnarr sindaco di Reykjavik: potrebbero raggiungere il 6-7% ciascuno e fermare al 25% l'attuale coalizione di Governo. Non è chiaro poi quale dei due leader del centro destra prevarrà: dopo mesi di leadership Sigmundur David Gunnlaugsson del Progressive Party è stato superato nei sondaggi, con un vantaggio di tre punti, da Bjarni Benediktsson dell'Independence Party, accreditato di un 27,9 per cento. Insieme dovrebbero comunque avere i numeri per un nuovo Governo.

La fine della crisi non è dunque bastata. Eppure molte cose sono cambiate. Lo spettro di un ingente rimborso dei debiti delle banche è stato scongiurato. A una recessione che ha visto il Pil crollare del 6,6% nel 2009 e del 4% del 2010 ha fatto seguito una crescita del 2,6% nel 2011 e dell'1,8% del 2012, non paragonabile a quella degli anni d'oro ma comunque inattesa in un'economia così aperta al commercio internazionale. La disoccupazione è caduta a un invidiabilissimo 6% (anche se era al 2% del 2007). Il fatto è che dietro le statistiche si nascondono profondi malesseri, che spingono gli islandesi a farsi tentare di nuovo dal sogno del thatcherismo artico che pure li ha portati, dopo anni di benessere, al collasso.

Il punto sono i mutui immobiliari. Gli islandesi non riescono a pagarli, e per loro non è soltanto una questione economica. Avere una casa di proprietà, per un giovane dell'isola, è il primo passo per ottenere piena dignità sociale. Non aver casa è invece - come si direbbe in Italia - "da sfigati". La crisi ha reso più difficile raggiungere questo obiettivo. Ha fatto crollare la corona del 50% circa e spinto in alto i prezzi mentre i salari reali e le quotazioni degli immobili cadevano e le tasse aumentavano vertiginosamente (anche per rimborsare gli aiuti dell'Fmi). Gli islandesi con un potere d'acquisto calato del 30-40% devono affrontare mutui per un totale di 8,7 miliardi di euro, poco oltre il 100% del Pil, legati all'inflazione e più elevati del valore delle case. Il rischio di insolvenze è altissimo.

Il Governo di centro-sinistra non è rimasto a guardare. Ha posto per i mutui un tetto del 110% del valore della casa acquistata; ma non è bastato. I due partiti di centro-destra - avvezzi al populismo - hanno allora fatto intravvedere altri tagli dei mutui, fino al 20%, finanziati con i crediti esteri delle banche ormai pubbliche, collassate per scarsa liquidità e non per cattivi investimenti. Il centro destra promette inoltre un nuovo boom - e una nuova successiva crisi, dicono gli oppositori - come quello che ha premiato l'isola, fino ad allora intrappolata da un controllo strettissimo dell'economia, tra il '95 e il 2007.

Non è detto però che il miracolo si ripeta oggi. Il Paese deve ancora trovare una vita d'uscita definitiva alla crisi: per esempio deve togliere quei controlli sui movimenti di capitali che bloccano sull'isola fondi esteri per 6 miliardi di euro. Cosa accadrà alla corona quando saranno tolti?

La svalutazione islandese, considerata da molti economisti come la chiave della ripresa, è infatti già stata fonte di problemi finanziari, come spesso accade. Pochi sembrano però voler abbandonare la corona, anche se l'isola, un microstato, è un'area valutaria non ottimale e avrebbe tutto da guadagnare dall'adozione di un'altra moneta. Lo stesso Bjarni Benediktsson, leader del Independence Party, mentre parla del «lato oscuro della corona» intende interrompere - come gli alleati del Progressive Party - le trattative per l'adesione all'Unione europea, e quindi a Eurolandia, per lanciare un referendum nazionale.

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