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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2013 alle ore 06:39.

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ROMA
Non sono sconti o facili indulgenze sugli impegni già sottoscritti dall'Italia quelli che va rincorrendo il neopremier Enrico Letta al suo debutto in Europa in un tour che lo vedrà oggi a Berlino, domani a Parigi e poi a Bruxelles. C'è, semmai, la volontà di mostrare piena fiducia nelle istituzioni europee per contribuire a cambiarle in modo "significativo" e renderele più vicine alle necessità dei cittadini e dei giovani che chiedono lavoro. D'altra parte c'è attesa e simpatia nelle cancellerie europee per il giovane presidente del Consiglio italiano e per la sua squadra di governo. Ma anche, è bene sottolinearlo, auspicio che vengano riconfermati tutti gli impegni assunti all'ex premier Monti sulla disciplina di bilancio.
Un primo istruttivo giro d'orizzonte, quindi, ma con alcuni punti fermi. Il primo (già sostenuto negli ultimi vertici europei da Monti) riguarda la necessità di sostenere oltre al fiscal compact anche crescita e sviluppo. «Di solo risanamento si muore» ha spiegato ieri in Parlamento Enrico Letta. Ed è quanto ripeterà oggi pomeriggio alla cancelliera Angela Merkel, poi il primo maggio al presidente francese, Francois Hollande e al presidente del Consiglio Ue, Hermann Van Rompuy, e il 2 maggio al presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Durao Barroso. In particolare con la Francia (e con la Spagna) il nostro Paese ha, negli ultimi mesi, lavorato nei vertici europei e nelle istituzioni comunitarie per superare le resistenze della cancelliera tedesca sempre più ostaggio di una politica nazionale che alla vigilia delle elezioni tedesche teme ogni pur minimo cedimento alle istanze dei Paesi del Sud Europa meno disciplinati. È l'alleanza che Letta cercherà di rivitalizzare con Hollande avendo dalla sua la forza di un governo politico con una larga base di consenso popolare rispetto al governo tecnico di Monti. Carta, questa, che avrà il suo peso anche a Bruxelles prima in un faccia a faccia la sera del primo maggio con Van Rompuy e poi il giorno successivo con il presidente della Commissione, Barroso. Non è escluso che, soprattutto a Bruxelles, gli interlocutori del premier gli chiedano come pensa di rispettare i saldi di bilancio senza il gettito dell'Imu sacrificato già nel prossimo mese di giugno sull'altare dell'alleanza con il Pdl. C'è chi guarda con facile ottimismo alla trattativa con Bruxelles e alla possibilità di ottenere uno slittamento sul pareggio di bilancio sia pure rispettando l'obiettivo del deficit sotto il 3 percento.
Letta, del resto, sa di poter contare in Europa sulla solidarietà della grande famiglia dei popolari e sulla fiducia che gli obiettivi di bilancio non saranno oscurati dalle politiche per lo sviluppo e l'occupazione. E tutti in Europa sanno di poter parlare, a differenza del passato, con un europeista convinto, allievo di un padre nobile della Comunità euroepa come Beniamino Andreatta. Le parole di Letta in Parlamento lo testimoniano. Il ricordo del continente pacificato dopo secoli di guerre, l'incredibile storia di successo fino al mercato interno e alla moneta unica che ora richiedono aggiustamenti e correzioni ma sostanziale rispetto. «Nel 2012 – ha spiegato Letta in Parlamento – tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel per la pace. L'Europa non è il passato, ma lo spazio politico per rilanciare la speranza». E poi ancora: «L'Europa esiste solo al presente e al futuro. È il nostro viaggio, la sua storia è scritta da noi, il porto al quale il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti di Europa». E infine: «Non vogliamo sognare i sogni degli altri, vogliamo più Europa con più democrazia, votando direttamente il presidente della Commissione Europea».
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