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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 06:40.

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NEW YORK. Dal nostro corrispondente
La Siria può attendere. Il sospetto che Damasco abbia usato armi chimiche contro i ribelli e contro la popolazione civile è corroborato da prove. Lo aveva già anticipato la settimana scorsa Chuck Hagel, il segretario al Pentagono e lo ha confermato ieri Barack Obama, nel suo primo intervento sulla questione. Ma il presidente ha scelto la strada della prudenza. Sa bene che varcare la "linea rossa" provocherebbe un cambiamento di strategia. E ha confermato che la «certezza» sull'utilizzo di armi chimiche farà scattare un «ripensamento della sua riluttanza ad usare la forza militare». Ma proprio perché la svolta potrebbe avere conseguenze gravi, ha detto di aver bisogno di altre prove, di altre certezze prima di formalizzare una nuova linea politica e militare nei confronti della Siria: «Devo essere sicuro che ci siano tutti i fatti. È quello che si aspetta il popolo americano – ha detto Obama nella sua prima conferenza stampa dall'attentato contro la maratona di Boston – se riusciamo a stabilire che non solo gli Stati Uniti ma anche la comunità internazionale è convinta che il regime di Assad ha usato armi chimiche allora a quel punto avremo un game changer» un cambiamento della partita. Obama ha anche discusso delle armi chimiche siriane con il presidente russo Vladimir Putin.
Il presidente non vuole commettere gli errori di George W. Bush, che decise di andare in guerra contro l'Iraq convinto che le tenui prove secondo cui Baghdad era in possesso di armi per la distruzione di massa fossero vere. E se Obama dal punto di vista tattico ha seguito su molti fronti la linea dura della precedente amministrazione, ad esempio aumentando gli attacchi dei droni al costo di mettere a rischio la popolazione civile in Pakistan, dal punto di vista della dottrina resta coerente con la svolta che ha impresso rispetto alle linee guida del suo predecessore: basta attacchi unilaterali, basta attacchi preventivi. Obama vuole prove certe, inconfutabili per poter agire di concerto con la comunità internazionale, vuole convincere Putin a collaborare per il passaggio di risoluzioni più aggressive del consiglio di Sicurezza, che contemplino in modo più esplicito il capitolo VII della Carta dell'Onu, il capitolo che autorizza l'uso della forza militare. Non solo, Washington si rende conto che l'antiaerea siriana è una delle più forti del mondo, che la Turchia è prudente e dunque guadagnare tempo in questo momento presenta molti vantaggi.
In questa sua prima conferenza stampa dopo l'attacco alla Maratona di Boston Obama si è trovato sulla difensiva, per il mancato passaggio della legge per il controllo delle armi, per il cambiamento delle regole dei tagli automatici imposto dai repubblicani: «La notizia della mia fine è esagerata» ha detto Obama ricordando Mark Twain. Ha anche respinto le accuse secondo cui la sua amministrazione avrebbe trascurato le informazioni in arrivo da Mosca nel 2001 sul possibile pericolo rappresentato da Tamerlan Tsarnaev. E ha detto di voler chiudere una volta per tutte Guantanamo, che resta aperta per una serie di cavilli giuridici che hanno impedito un processo dei prigionieri, detenuti orami da oltre dieci anni. La chiusura di Guantanamo era una delle più importanti promesse elettorali del 2008. Poi, all'atto pratico, si è accorto che i problemi con cui si era scontrato il suo predecessore non erano facilmente superabili: nessuna città voleva ospitare i processi dei sospetti terroristi per timori di attentati.
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