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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2013 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 21 gennaio 2014 alle ore 16:05.

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«Freddezza e precisione» di Luigi Preiti, immortalate nei fotogrammi delle telecamere di Montecitorio. Il braccio teso del calabrese, con la pistola 7,65 stretta tra le mani è, per gli investigatori, "prova" che fosse pienamente consapevole di ciò che stava facendo. Un elemento d'indagine in più, che si aggiunge a quelli finora raccolti dal procuratore aggiunto di Roma, Pier Filippo Laviani, e dal sostituto Antonella Nespola. L'obiettivo è di dimostrare che Preiti domenica scorsa ha volontariamente fatto fuoco sui due militari dell'Arma – il brigadiere Giuseppe Giangrande, 50 anni, e il carabiniere scelto Francesco Negri, 30 – durante la cerimonia di giuramento del Governo Letta. E sarà proprio la "volontà dell'azione", il vero nodo da sciogliere oggi, all'udienza di convalida dell'arresto in flagranza dinanzi al giudice per le indagini preliminari Bernadette Nicotra.

Da una parte c'è la Procura, con una serie di elementi probatori raccolti dai Carabinieri del Nucleo investigativo, per dimostrare che si tratta di una persona "mentalmente sana". Dall'altra ci sono gli avvocati del calabrese, Mauro Danielli e Raimondo Paparatti, che intendono porre in evidenza un documento sanitario rilasciato in ospedale, la sera della sparatoria. Un referto medico dal quale emergerebbe che Preiti avrebbe affermato di «non ricordare cosa fosse successo quel giorno» e di aver sentito sul letto del nosocomio «la voce della madre che lo chiamava». In sostanza, la tesi difensiva è che fosse incapace di intendere e volere nel momento in cui ha esploso i proiettili che hanno ferito i due carabinieri.

Tuttavia il fascicolo investigativo contiene numerosi spunti che farebbero supporre il contrario. Questi sono tutti contenuti nella richiesta di convalida dell'arresto a firma dei due pubblici ministeri. All'interno ci sono le audizioni dei familiari di Preiti, i quali hanno affermato che «è una persona sana, non ha problemi psichiatrici». Poi c'è lo stesso interrogatorio dell'uomo, dal quale per gli investigatori «risulta un soggetto freddo, distaccato e consapevole di ciò che ha commesso». Infine le immagini trovate nelle registrazioni delle telecamere di sorveglianza di Montecitorio.

Un fotogramma in cui si vede Preiti col braccio teso e la pistola in mano che esplode il primo proiettile verso il brigadiere Giangrande, ferito al collo, e poi sparare il secondo colpo alla gamba del carabiniere scelto Negri. Un'immagine che per il Nucleo investigativo «dimostra freddezza e precisione», oltre che la sospetta volontà di uccidere. Il quadro probatorio, dunque, sarebbe ormai chiuso e vedrebbe come unico colpevole il solo Preiti. Fonti investigative, infatti, escludono che abbia avuto l'aiuto di altre persone, anche se si dovranno attendere gli esiti dei tabulati telefonici per escludere la partecipazione di altri. Perizie, inoltre, sono state disposte anche sull'arma (con matricola abrasa) e sui bossoli. Su questi ultimi, spiega un investigatore, «è come se ci fosse un'impronta digitale dell'arma. Ogni pistola all'interno della canna ha dei segni unici che rimangono sul colpo». Attraverso l'incrocio con le banche dati, dunque, la Procura conta di scoprire se l'arma sia stata usata in altre sparatorie, svelando definitivamente il mistero anche su dove l'abbia comprata, se ad Alessandria (come sostiene Preiti) o se in Calabria (come ipotizza la Procura). Intanto sulla vicenda è intervenuto ieri, con un'informativa al Parlamento, il ministro dell'Interno Angelino Alfano, il quale ha assicurato che «la sicurezza nel Paese è salda». Secondo il vice presidente del Consiglio «non ci sono prodromi di focolai di piazza o eversivi», ma si deve tenere «alta la guardia», in quanto l'equilibrio sociale dell'Italia, «provata dalla crisi economica e da mesi di contrapposizione, ha la sensibilità del cristallo».

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