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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2013 alle ore 08:17.

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TOKYO. Dal nostro corrispondente
Giappone e Turchia, oltre a tradizionali legami di simpatia rafforzati negli ultimi anni, hanno una cosa in comune: la frequenza dei terremoti nel loro territorio. Dopo l'assegnazione di una prima commessa ai russi, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha scelto l'expertise giapponese per la costruzione di una seconda centrale nucleare: ieri sera ha presieduto ad Ankara, con il premier Shinzo Abe, alla cerimonia per la firma dell'intesa preliminare che assegna il progetto - del valore stimato in 22 miliardi di dollari - a un consorzio guidato da Mitsubishi Heavy con la francese Areva.
Si tratta della prima commessa estera ottenuta da giapponesi – e francesi - dopo la crisi nucleare di Fukushima. La centrale sarà realizzata nella provincia di Sinop, sul Mar Nero, e gestita da Gdf Suez; dovrebbe comprendere quattro reattori ad acqua pressurizzata con una capacità complessiva di circa 4,5 Megawatt. Mentre il Giappone è in vacanza per la Golden Week e ieri si è celebrato il giorno della Costituzione (che lui vuole cambiare), il premier Abe ha concluso un lungo viaggio improntato soprattutto alla diplomazia energetica, che l'ha portato in Russia e Medio Oriente, le aree dalle quali il Paese più dipende (o dipenderà) per i suoi approvvigionamenti di gas e petrolio.
Una diplomazia che cerca di funzionare nei due sensi. Da un lato, Abe ha cercato di promuovere un "upgrading" delle relazioni economiche complessive (non a caso è stato accompagnato da un centinaio di uomini d'affari) in una cornice più precisa di scambio tra domanda di energia e offerta di capitali e tecnologie; dall'altro si è fatto promotore dell'export di tecnologia nucleare, firmando in proposito una intesa preliminare in Arabia Saudita e un accordo-quadro negli Emirati Arabi prima di concludere con Erdogan un patto più concreto. Abe ha sottolineato che la tecnologia nucleare nipponica è «la più sicura al mondo».
Sul fronte interno, poi, l'"Abenomics" intende completarsi con la riattivazione di altri impianti atomici (oltre ai due già rimessi in funzione), al fine di limitare la bolletta energetica sia per il Paese sia per i consumatori industriali e individuali (le utility hanno alzato e intendono aumentare ancora le tariffe per il calo verticale delle forniture di energia dal nucleare). La nuova Nuclear Regulation Authority ha da poco approvato norme più puntuali sulla sicurezza che entreranno in vigore a luglio: subito dopo alcune utility presenteranno la richiesta far tornare a funzionare alcuni reattori in autunno.
Per limitare l'impatto sull'opinione pubblica e per altri fattori favorevoli, i primi candidati alla riapertura sono i reattori situati in zone ultraperiferiche e meno popolate: Tomari in Hokkaido, Ikata nell'isola di Shikoku e Sendai nel Kyushu. Ancora più controverso è il progetto di rilanciare il programma nazionale di riprocessamento di combustibile nucleare, che comporta il commissionamento dell'impianto di Rokkasho e avrebbe l'effetto collaterale di aumentare lo stoccaggio di plutonio spento potenzialmente convertibile in ordigni atomici: un piano che non trova approvazione negli Usa, preoccupati per le conseguenze internazionali sia presso alleati che premono per fare lo stesso (come la Corea del Sud) sia presso potenziali avversari come la Cina.
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