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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2013 alle ore 08:17.
LONDRA. Dal nostro corrispondente
Saranno anche «un po' matti», saranno anche «razzisti in incognito», ma i candidati dell'Ukip, United Kingdom Independence Party sbancano, con una performance elettorale che va oltre le aspettative. Tanto da costringere il premier David Cameron, piuttosto severo nel giudizio sopra riportato, a una revisione totale del proprio pensiero. «Dobbiamo rispettare gli elettori che hanno deciso di votare per questo partito», ha detto ieri abbozzando dinnanzi a un crollo del consenso che su base nazionale sfiora il 10 per cento.
Sono elezioni amministrative e quindi ininfluenti per i destini dell'esecutivo britannico, ma sono espresse su un vasto campione nazionale e seguono elezioni suppletive che confermano il trend. A spoglio sostanzialmente ultimato il partito eurofobico e vagamente xenofobo di Nigel Farage ha conquistato più di cento consiglieri comunali e di contea divenendo opposizione ufficiale in Lincolnshire, un'ondata che se calcolata con un'estrapolazione statistica gli assegna il 25% dei voti. Non solo. Nelle by election di South Shields per eleggere il deputato chiamato a sostituire il laburista David Miliband, Ukip è il secondo partito alle spalle del Labour che giocava in una roccaforte. Hanno dimostrato soprattutto di avere un forte radicamento sul territorio e una straordinaria capacità di mobilitazione. I meriti gli sono stati riconosciuti anche da Ed Miliband, leader laburista che ha guadagnato 200 consiglieri in più della precedente votazione in linea con un trend che premia l'opposizione nel cosiddetto mid-term blues, quell'andazzo di metà mandato che concentra contro le forze al governo il malcontento popolare.
Quello di ieri non può però essere liquidato come semplice voto di protesta. Almeno non quello per i colori viola dell'Ukip. Nigel Farage è riuscito ad accreditarsi come l'avanguardia più credibile nella "lotta" britannica contro l'Unione europea da cui chiede l'immediata uscita negoziando eventuali spazi particolari sugli aspetti più delicati del mercato interno. Un programma populista e soprattutto irrealista perché le condizioni vagheggiate dagli indipendentisti non sarebbero mai accettabili per Bruxelles. Lo scenario che l'Ukip prospetta è, in ultima istanza, quello di un distacco totale e il consenso che raccoglie dimostra quanto sia radicato il furore antieuropeo nel Regno di Elisabetta.
Ad alimentare uno scetticismo endemico è stata la crisi dell'euro che ha spiazzato anche Cameron, costretto a rincorrere la piattaforma di Nigel Farage per trattenere elettori in fuga. Da questo voto seguirà un ulteriore irrigidimento del partito conservatore verso Bruxelles, al punto che già si parla ufficialmente di lanciare il referendum sulla partecipazione all'Ue con tempi e modalità ancor più stringenti di quelli fino ad ora immaginati. A protezione di David Cameron rimane solo il sistema elettorale in vigore per le politiche. Il maggioritario secco uninominale impone il forte concentramento di voti in ogni singolo collegio, una dinamica che all'Ukip è sempre mancata. Fino ad ora, almeno.
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In corsa da 20 anni
INDIPENDENZA
Lo Uk Independence Party, nato venti anni fa, a cominciare dal proprio nome (Partito dell'Indipendenza del Regno Unito) ha puntato su un programma semplice e chiaro: far uscire la Gran Bretagna dall'Unione europea. Messaggio a cui si sono poi aggiunte le campagne per contrastare l'immigrazione e i matrimoni tra persone dello stesso sesso
LE ORIGINI
Il partito oggi guidato da Nigel Farage è stato fondato il 3 settembre 1993 alla London School of Economics da membri della Anti-federalist League, che a sua volta era stata fondata nel novembre 1991 da Alan Sked con l'obiettivo di sostenere candidati contrari al Trattato di Maastricht alle elezioni politiche del 1992
ILMAGGIORITARIO
A livello nazionale il sistema del maggioritario secco ha per tutti questi anni frustrato le speranze di exploit per gli euroscettici, che infatti non hanno rappresentanti a Westminster. Nel 2006 Nigel Farage ha preso le redini del partito promettendo, forte delle sue capacità di comunicatore, di riuscire a trasformarlo «in un partito veramente rappresentativo». I risultati di ieri, ancora tutti da confermare nel voto nazionale, sembrano dargli ragione