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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2013 alle ore 15:17.

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ROMA - Si allontana la Convenzione che ha trovato già il suo primo intoppo su chi la guiderà. L'ipotesi lanciata da Silvio Berlusconi di essere lui stesso a presiederla ha riacceso le polemiche sulle larghe intese e dopo il fronte caldo dell'Imu anche sulle riforme si torna su opposte barricate. Per il momento solo una guerra di posizione visto che di concreto non c'è ancora nulla. Un polverone che serve però a conquistare margini di trattativa anche sulla presidenza delle commissioni parlamentari su cui di nuovo si sono aperte le danze tra Pd e Pdl. Sembra che al Cavaliere interessino quelle delle Telecomunicazioni e Giustizia ma i suoi vogliono mantenere posizioni anche su quelle dedicate all'economia. Insomma, sotto lo scontro su Berlusconi "sì o no" a capo della Convenzione si stanno decidendo le altre caselle delle larghe intese.

«Non mi impicco alla Convenzione, sono il ministro delle Riforme e non della convenzione», diceva anche ieri il ministro Gaetano Quagliariello dando l'idea che si è alzata solo una nebbia. «È prematuro fare dei nomi ma credo che la presidenza spetterebbe al Pdl visto che ai vertici delle istituzioni sono andate personalità del centro-sinistra». Insomma, il ministro per le Riforme smorza i toni, annuncia per la prossima settimana un crono-programma, e fa notare che le riforme si possono fare – oltre che per via regolamentare e ordinaria – anche per via costituzionale «abbandonando l'idea della convenzione».

Il fatto vero è che tutti stanno aspettando quello che succede alle vicende processuali di Silvio Berlusconi e poi si capirà quale piega prenderà il Governo e il patto tra Pd e Pdl. Prima di queste scadenze politico-giudiziarie ci sono solo schermaglie. E nel gioco delle schermaglie si mette la Lega che ieri con Roberto Maroni ha paventato la fine prematura del Governo. «Sono preoccupato perché a questo scontro su una cosa del tutto irrilevante, come le poltrone, rischia di compromettere un percorso. Noi abbiamo dato un voto di astensione, un'apertura di credito al governo essenzialmente sulla Convenzione. Se parte bene, altrimenti passeremo all'opposizione. Ma credo che il Governo non possa durare senza questo avvio». E Maroni fissa pure una data. «Se non parte entro il mese di giugno, credo che la sorte del governo Letta sia segnata e quindi meglio tornare al voto». Una prospettiva che certo non si augura la Lega che ha piuttosto timore delle urne. E che tra l'altro ha già candidato Roberto Calderoli a guidare proprio la Convenzione.

In ogni caso è nel Pd che si addensano le più forti perplessità sulla Convenzione. Sandra Zampa e Pippo Civati ieri respingevano «senza appello l'ipotesi che si proceda a dar vita a una Convenzione per le riforme costituzionali senza che si sia neppure acquisito il parere del gruppo parlamentare e senza che si sia svolto un solo confronto tra i deputati e i senatori sul tema». Un tema su cui chiedono un confronto all'interno del gruppo dei Democratici come se non bastasse l'imminente assemblea che dovrà decidere chi guiderà il partito.

Il «no Cav» comunque tiene ancora banco nonostante sia proprio il Cavaliere a tacere. Dopo Matteo Renzi e Stefano Fassina ieri è toccato al neo ministro Andrea Orlando che ha chiesto a Berlusconi «senso della misura» non considerandolo «una figura di pacificazione che è ciò che serve alla guida della Convenzione». Ma sull'argomento è intervenuto anche Walter Veltroni che in un'intervista ha smorzato gli entusiasmi. «Non vorrei – ha affermato – che passassimo sei mesi per istituire la Convenzione e altri sei per deciderne il presidente. Sono giacenti in Parlamento le proposte dei saggi e altre. Si parta da quelle, in primis dalla legge elettorale».

E proprio sulla legge elettorale, dopo Enrico Letta anche Roberto Calderoli si è schierato per il Mattarellum annunciando di aver presentato una proposta di abrogazione del Porcellum per ripristinare quella legge. Alla fine sarà quello l'obiettivo minimo – e più raggiungibile – dei partiti sulle riforme.

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