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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2013 alle ore 06:40.

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Se ai «forti sospetti» seguissero le prove, si tratterebbe di una notizia shock, inaspettata, che rischia di stravolgere il corso della più sanguinosa e cruenta delle primavere arabe: la guerra civile siriana. «Stando alle testimonianze che abbiamo raccolto sono state utilizzate armi chimiche, in particolare gas nervino. Dalla nostra indagine emergerebbe che sono state usate dagli oppositori, dai ribelli», ha dichiarato domenica sera Carla del Ponte, membro della Commissione Onu che indaga sulle violazione dei diritti umani in Siria.
La clamorosa denuncia resa alla Radio Svizzera dall'ex procuratore del Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia - doccia fredda sui Paesi occidentali che sostengono l'opposizione siriana e che si sono detti pronti a intervenire contro il regime nel caso in cui usasse le armi chimiche - è stata seguita ieri da un comunicato dell'Onu, una parziale presa di distanza, in cui sottolinea «di non aver ottenuto dati conclusivi sull'uso di armi chimiche in Siria dalle parti coinvolte nel conflitto».
Me se davvero arrivassero le prove si solleverebbero inquietanti interrogativi: in che modo i ribelli sono entrati in possesso delle armi chimiche? E quante ne possiedono? Dispongono di testate capaci di colpire Israele? E quale fazione armata, nel caotico coacervo di milizie, è riuscita ad appropriarsene? I gruppi salafiti locali, la potente organizzazione siriana di Jabat al-Nusra, affiliata ad al-Qaeda, oppure cellule qaediste straniere? Sono tutti, comunque, acerrimi nemici di Gerusalemme.
Alla luce dei due raid militari israeliani in territorio siriano effettuati nel week-end la situazione nella regione sta divenendo incandescente. Il governo israeliano non ha confermato gli attacchi, ma secondo fonti militari l'obiettivo sarebbero stati convogli e arsenali di armi iraniane destinate alle milizie libanesi di Hezbollah. Per Damasco è stato invece un deliberato attacco contro le sue installazioni. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha calcolato 42 soldati governativi morti. Difficile affermare se si tratti di una rappresaglia, ma ieri un tiro di mortaio proveniente dalla Siria è caduto in un villaggio israeliano sulle alture del Golan (senza provocare feriti).
Cina e Russia hanno espresso profonda preoccupazione per i raid. Il presidente russo Vladimir Putin ha avuto una conversazione telefonica con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il quale ieri era in visita proprio a Pechino. Israele ha chiarito che il suo unico obiettivo rimangono gli Hezbollah, e non Damasco. E avrebbe fatto pervenire ad Assad un messaggio segreto in cui precisa di non avere intenzione di interferire nel conflitto. Com'era prevedibile Damasco ha parlato di dichiarazione di guerra e di possibili rappresaglie. Ma è difficile che possa, e che voglia, allargare il conflitto contro un esercito così potente, in un momento in cui lotta per la sopravvivenza
Quanto alla dichiarazione di domenica è bene precisare che si tratta solo di sospetti: «Ci sono forti, concreti sospetti, ma non prove incontrovertibili sull'uso di gas sarin dal modo in cui le vittime sono state curate – ha detto la del Ponte -. I nostri investigatori sono stati nei Paesi vicini e hanno incontrato le vittime e i dottori negli ospedali da campo. Quando la commissione speciale potrà condurre l'inchiesta, si potrà stabilire se anche il governo ha fatto utilizzo di queste armi». Ma il team di esperti Onu sta ancora aspettando il via libera da Damasco per entrare in Siria. Sono almeno due gli episodi in cui il regime e i ribelli si accusano a vicenda sull'uso di armi non convenzionali: vicino ad Aleppo e nei pressi di Damasco a marzo, e a Homs in dicembre.
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