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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2013 alle ore 13:22.

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Ottavio Missoni in una foto degli anni 30 (Ansa)Ottavio Missoni in una foto degli anni 30 (Ansa)

Ottavio Missoni non ha mai smesso di correre. Anche quando scelse di aprire una maglieria in un sottoscala di Gallarate, nel Varesotto, perché dopo la Guerra tutto era possibile, anche dare forma a un sogno che come è noto ha conquistato il mondo, lui, in realtà, voleva continuare a correre. Disse alla Gazzetta nello Sport nel febbraio del 2011: "Mi è sempre piaciuto fare sport, andare a spasso, mangiare e bere con gli amici, vedere un film, godermi un orizzonte. Per questo non ho mai avuto tempo per lavorare. E pensare che mi hanno fatto perfino cavaliere del lavoro". Lo sport, il primo grande amore. Poi, tutto il resto. A vent'anni, come a ottanta. Cambiano gli scenari, le aspettative, le risorse, forse pure le ansie della vigilia, che con il passare del tempo si trasformano in piacevoli e divertenti attese, ma l'entusiasmo no, quello non è mai venuto meno al cavalier Missoni, che sulle piste di atletica non ha mai smesso di andarci. Protagonista, fino all'ultimo, perché altro non poteva e voleva fare.

Otto titoli nazionali e un sesto posto alle Olimpiadi di Londra del 1948. Ma pure un titolo di campione mondiale studentesco, vinto a Vienna nel 1939. Specialità: 400 metri piani e 400 metri ostacoli. Ottavio Missoni non era uno dei tanti. Correva veloce, come pochi altri prima della Guerra. "I 400 ostacoli, se fatti bene, sono musicali: ritmo e armonia", confidò nella lunga chiacchierata nella sede della Gazzetta in occasione del novantesimo compleanno e della pubblicazione del libro ("Una vita sul filo di lana", Paolo Scandaletti, Rizzoli) che racconta i fatti e le parole di uno dei più grandi ambasciatori del made in Italy nel mondo. Nella moda, ma anche nel quotidiano. Sì, perché Missoni, lo sportivo che è diventato stilista da copertina quasi per caso, è stato il portavoce di un Paese che sapeva parlare con il cuore e con il coraggio. Il coraggio delle idee che non invecchiano mai, perché straordinariamente brillanti.

Missoni ha sempre preso tutto sul serio. Dalle gare di paese alle sfilate in giro per il mondo. Credeva in sé stesso e nella sua voglia di arrivare. E si arrabbiava non poco quando le cose non gli riuscivano come avrebbe desiderato. Diceva che "la vecchiaia è il momento ideale per uscire dalla competizione, per smettere di cercare conflitti, per arrabbiarsi meno". Ma poi, quando gli capitava di sbagliare un lancio, altro che sorrisi. Storia di qualche anno fa. Missoni ai Master di atletica, una sorta di Olimpiadi riservata agli atleti non più giovanissimi ma con una grinta da fare invidia ai trentenni. "Prima di scegliere la gara giusta – spiegò lo stilista di origini croate - controllo i necrologi. Agli ultimi Europei, secondo nel getto del peso e primo nel lancio del giavvellotto. Però, nel giavellotto ero da solo".

Come dire, vincere facile non regala soddisfazioni. Epperò, lui c'era. Ottantenne e più con la grinta di un tempo. Gli altri, no. "Ci vuole un fisico bestiale", cantava Luca Carboni. Bene, Missoni ha goduto fino agli ultimi anni di vita di una salute da applausi. Questione di tempra, forse di genetica. Più probabilmente, di determinazione. Che lo stilista ha imparato a coltivare sulle piste di atletica. A due passi dal cielo, per gentile concessione di un destino benevolo e cortese. Lo sport, la chiave di lettura di una carriera ricca di sorrisi. Missoni incontrò la moglie Rosita Jelmini su un treno per Brighton. Lui si giocava una medaglia alle Olimpiadi di Londra. Lei, studentessa, cominciava a conoscere il mondo. Qualche parola, un paio di sguardi e l'inizio di una favola che è durata una vita. Anzi, molto di più.

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