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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2013 alle ore 08:14.

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di Ugo Panizza
e Andrea F. Presbitero

Quali sono le conseguenze di un elevato debito pubblico sul tasso di crescita dell'economia? La risposta a questo interrogativo è fondamentale per capire se politiche fiscali espansive, che fanno aumentare l'indebitamento pubblico, possono avere effetti di lungo periodo sul tasso di crescita economica. La scoperta di alcuni errori nei dati utilizzati dagli economisti di Harvard Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff ha scatenato una vivace discussione sull'esistenza di una soglia sopra la quale il debito pubblico inizia ad avere un effetto negativo sulla crescita economica.


e Andrea F. Presbitero

Senza entrare nei dettagli, occorre evidenziare che, mentre il dibattitto mediatico si è concentrato sugli errori di calcolo di Reinhart e Rogoff, la correzione di questi errori non è sufficiente per ribaltare i loro risultati.
Purtroppo, la discussione su presunti errori di Reinhart e Rogoff ha distolto l'attenzione su alcuni aspetti fondamentali del nesso tra debito e crescita.
In primo luogo, la definizione di debito pubblico non è ovvia. A fine 2012, il debito lordo italiano era pari al 127% del Pil, ma il debito netto era 30 punti percentuali in meno. Allo stesso tempo, una misura di debito che includesse tutte le passività implicite del governo (soprattutto legate al pagamento delle pensioni) fornirebbe un rapporto debito/Pil ben maggiore. Queste considerazioni implicano che non sia ovvio che misura scegliere tra debito lordo e debito netto. Non è neanche ovvio che una politica di privatizzazioni possa ridurre il debito netto. Questo sarebbe vero solo se la privatizzazione genera degli introiti che sono maggiori al valore attuale dei beni da privatizzare (calcolato quando questi beni sono di proprietà dell'amministrazione pubblica).
In secondo luogo, mentre gli studi econometrici mostrano con una certa regolarità che un aumento del debito di 30 punti percentuali è associato con una riduzione della crescita di mezzo punto percentuale, questa correlazione non implica l'esistenza di un nesso di causalità (in caso contrario, l'osservazione che vi sono molte persone ammalate negli ospedali, ci porterebbe a concludere che andare all'ospedale faccia ammalare la gente). Potrebbe essere la bassa crescita economica a causare l'aumento del debito. In alternativa, la correlazione potrebbe essere il risultato dell'effetto di una qualche altra variabile che simultaneamente determina un alto indebitamento e una bassa crescita.
Nell'affermare che non c'è prova di un nesso causale tra debito e crescita, non intendiamo sostenere che alti livelli di debito siano senza conseguenze. Esiste ovviamente un livello del rapporto tra debito e Pil in corrispondenza del quale gli effetti distorsivi del debito sull'economia si fanno sentire. I risultati delle nostre ricerche, tuttavia, suggeriscono che le economie avanzate potrebbero ancora essere sotto la soglia oltre la quale il debito inizia a generare effetti negativi sulla crescita.
È tuttavia possibile che un governo solvente con un elevato debito possa decidere di attuare politiche fiscali restrittive con l'obiettivo di ridurre la probabilità di un aumento dello spread. Queste politiche, a loro volta, potrebbero rallentare la crescita, specialmente se attuate in un periodo di recessione. In tal caso, sarebbe corretto sostenere che il debito provoca una riduzione della crescita, ma soltanto perché un indebitamento elevato genera panico e politiche restrittive. Se, da un lato, questa interpretazione giustifica politiche di lungo periodo dirette a ridurre il debito, dall'altro implica che i Paesi non dovrebbero attuare politiche restrittive durante una recessione perché queste sono la ragione del legame negativo tra debito e crescita. Ciò nonostante, i policy-makers potrebbero non avere alternative nel caso in cui siano sotto pressione da parte dei mercati. Per questo motivo, è necessario sia attuare politiche fiscali prudenti, sia avere un prestatore di ultima istanza che escluda la possibilità di equilibri multipli. Questa visione spiega il successo dei recenti piano di rifinanziamento a lungo termine della Banca Centrale Europea.
Ugo Panizza,
The Graduate Institute, Ginevra
Andrea F. Presbitero,
Università Politecnica delle Marche, Ancona
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