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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2013 alle ore 08:23.

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Una presidenta brillante, eletta e rieletta, molto empatica con la sua gente, disinvolta al G-20, eccellente padrona di casa nell'accogliere i grandi investitori internazionali.
Cristina Fernandez de Kirchner guida un'Argentina che ha saputo riprendersi, eccome, dal default del 2001, con tassi di crescita a ritmi cinesi per dieci anni. Eppure lo spettro del default, di un nuovo default, continua ad aleggiare. In modo del tutto ingiustificato, secondo alcuni analisti. Meritatamente, secondo altri.

«È impensabile che un Paese con un rapporto debito pubblico/Pil al 28% possa cadere in default - spiega Enzo Farulla, analista indipendente, già Raymond James - dopo che l'Italia veleggia attorno al 120% da molti anni». Neppure gli analisti brasiliani interpellati da «Il Sole-24Ore» contemplano l'ipotesi di un default argentino.
Invece secondo un report di Standard & Poor's di poche settimane fa, la probabilità di un secondo default è all'84,5%: in un rapporto sui debiti sovrani relativo al primo trimestre 2013, l'Argentina compare al primo posto per rischiosità.

Pareri discordanti, quindi, anche se gli analisti-Cassandre negli ultimi giorni hanno rilanciato le loro fosche previsioni con più vigore. Perché? Il mercato dei cambi ha sprigionato forti tensioni: il dollaro, sul mercato nero, ha sfiorato la soglia psicologica dei 10 pesos, mentre al cambio ufficiale è ancorato a quota 5,23.
Una palese sfiducia verso la moneta nazionale, il peso, alimentata da un'inflazione che da molti anni sfiora il 30% annuo. Una continua erosione di potere di acquisto che dissolve i risparmi delle famiglie.
L'aperta ostilità dei mercati finanziari nei confronti del Governo ha origini lontane: innanzitutto la totale frattura tra il Fondo monetario internazionale e l'Argentina, consumatasi più di dieci anni fa, all'epoca del default.

In secondo luogo la vicenda dei tangobond rimane sempre una spina nel fianco del Governo di Buenos Aires. Dei 450mila risparmiatori italiani solo una piccola quota non ha aderito alle offerte del 2005 e del 2010. Eppure questi pochi holdouts hanno accolto una sentenza molto favorevole dal giudice americano Tomas Griesa, secondo cui i fondi speculativi che non avevano aderito alle offerte avrebbero potuto pretendere un rimborso integrale dell'investimento. Ciò avrebbe indotto tutti coloro che hanno accettato il concambio in precedenza a richiedere lo stesso trattamento. Si tratterebbe di un default da 1,33 miliardi di dollari.
La presidenta Kirchner rilancia il tema del complotto di una destra irresponsabile che vuol sabotare «i programmi di produzione, reindustrializzazione e creazione di posti di lavoro». In un intervento televisivo molto vibrante la presidenta ha dichiarato che «finché sarà presidente coloro che pretendono di guadagnare attraverso la svalutazione facendo così soffrire il popolo, dovranno attendere un nuovo Governo».

In un quadro obiettivamente confuso molti gruppi internazionali continuano a puntare sull'Argentina.
Pochi giorni fa il presidente di Fiat Industrial, Sergio Marchionne, alla presenza della presidenta Kirchner, ha inaugurato a Ferreyra, nella provincia di Cordoba, un nuovo complesso industriale per la produzione di trattori, mietitrebbiatrici e motori agricoli. Un investimento pari a 130 milioni di dollari.
Il nuovo impianto produrrà circa 2mila macchine agricole, 4mila trattori e 50mila motori all'anno, con i marchi Case IH, New Holland e Fiat Powertrain. Creerà fino a 600 posti di lavoro diretti e altri 1.500 indiretti, in aggiunta agli 800 che Case IH e New Holland hanno già nella rete di rivenditori.

«Questo stabilimento è il segno più evidente della nostra fiducia nel ruolo che questo Paese continuerà a svolgere come produttore di mezzi agricoli su scala globale - ha detto Sergio Marchionne -. Ci siamo impegnati a costruire questo complesso industriale appena due anni fa, e oggi stiamo mostrando una tecnologia a sostegno della produzione agricola nazionale in Argentina e come piattaforma per l'esportazione in altri mercati». Gli industriali scommettono sull'Argentina granaio del mondo, i finanzieri nel default.

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