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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2013 alle ore 06:39.

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Dino
Pesole
I margini di flessibilità che potranno aprirsi, qualora a fine mese l'Italia esca dalla procedura di infrazione per disavanzo eccessivo, potranno scattare dal 2014, ma non si tratterà di una "concessione" incondizionata da parte di Bruxelles. Massima disponibilità da parte della Commissione europea, disposta a ipotizzare spazi supplementari di manovra al governo italiano, ma con prudenza e gradualità. Occorrerà che il governo presenti alla Commissione un piano dettagliato delle azioni di politica economica da mettere in campo in via prioritaria, e avviare nel contempo una serrata trattativa per identificare timing e compatibilità finanziarie. Sulla carta sono almeno tre i versanti sui quali puntare: il capitolo degli «investimenti pubblici produttivi», la cui contabilizzazione dovrebbe essere in tutto o in parte sterilizzata ai fini del calcolo del deficit (un primo embrione di «golden rule»), la seconda tranche di debiti commerciali della Pa, le azioni dirette a sostenere il mercato del lavoro.
Linee di azione che dovranno essere sostenute dal rinnovato impegno del governo a mantenere sia nel 2013 che negli anni a venire una posizione di deficit nominale al di sotto della soglia massima del 3% del Pil, e nei dintorni del «close to balance» per quel che riguarda il deficit strutturale (depurato dagli effetti del ciclo economico e dalle una tantum). Sia il decreto che sospenderà la rata di giugno dell'Imu con annessa copertura per la Cig, sia le successive misure in cantiere per il rinvio dal prossimo luglio al gennaio 2014 dell'aumento dell'Iva, cui si aggiungerà la copertura a regime per la revisione strutturale dell'Imu e delle ulteriori spese da finanziare nel corso dell'anno, non dovranno di conseguenza comportare un aumento del deficit.
Il tetto del 2,9% previsto quest'anno è dunque sostanzialmente invalicabile, altrimenti si assisterebbe al paradosso che l'Italia, uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo in virtù dei risultati raggiunti finora con base di riferimento il 2012, rientrerebbe nella lista dei paesi sottoposti a più stretta sorveglianza per aver sforato nuovamente i target l'anno successivo, perdendo in tal modo l'occasione per sfruttare i margini previsti dal cosiddetto «braccio preventivo» del Patto di stabilità. Non solo. Il malaugurato rientro del nostro paese nelle maglie della procedura per disavanzo eccessivo coinciderebbe con i più stringenti vincoli imposti dalla nuova disciplina di bilancio europea, nel combinato del «Fiscal compact», «Six Pack» e «Two Pack», rendendo con ciò obbligatorio il rientro dal debito nella percentuale di un ventesimo l'anno fino al raggiungimento del tetto massimo del 60% del Pil. Non è peraltro solo questione di deficit e di decimali, ma per noi (differentemente dalla Francia) il ritorno a una finanza pubblica in ordine è un percorso obbligato a causa della persistenza di un debito pubblico che quest'anno supererà il 130% del Pil. Quindi l'impegno a mantenere il percorso di riduzione delineato dal «Def» dovrà essere mantenuto e, se necessario, rafforzato.
Una volta che Bruxelles avrà incassato questi impegni programmatici, spetterà al governo avviare la trattativa su quali tipologie di «investimenti pubblici produttivi» possano fruire dei nuovi margini di flessibilità quanto al loro impatto sui conti pubblici. Rientra nella partita anche la quota di cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali, che porterebbe il totale dei finanziamenti teoricamente impegnabili attorno ai 10-12 miliardi indicati dal ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni. Il tutto da sostenere con l'altro dossier relativo al cofinanziamento nazionale dei nuovi fondi strutturali destinati all'occupazione giovanile.
L'altra rilevante partita riguarda lo sblocco della seconda tranche di crediti commerciali della Pa. Si potrebbe al riguardo sfruttare parte dello scarto tra il target 2013 previsto per il deficit (2,9%) e l'1,8% stimato per il 2014. In sostanza, si tratterebbe anche nel 2014 di far lievitare il deficit di mezzo punto di Pil, replicando in tal modo l'operazione messa in atto dal governo Monti per la prima tranche di debiti della Pa (40 miliardi nel 2013-2014). Dispositivo approvato dopo aver ottenuto il preventivo via libera da parte della Commissione europea.
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