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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2013 alle ore 06:43.

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ROMA
Silvio Berlusconi compare dinanzi alla Procura di Roma, per raccontare le dazioni per 500mila euro ai «faccendieri Valter Lavitola e Gianpaolo Tarantini». Un'estorsione ai suoi danni, secondo la magistratura capitolina.
Interpretata, invece, dai pm di Bari, come un sistema per comprare il silenzio dello scaltro imprenditore pugliese, affinché non rivelasse particolari "scabrosi" delle notti erotiche emerse dall'inchiesta "Escort" del capoluogo pugliese.
All'indomani della richiesta di condanna della Procura di Milano nel processo Ruby, il Cavaliere torna a fronteggiarsi con le inchieste giudiziarie, sempre a sfondo "prostituzione". Questa volta in ballo ci sono i soldi concessi a Gianpi e Lavitola. Un fatto oggetto di due separate inchieste (entrambe nate dagli atti della Procura di Napoli), a Roma e Bari. Ma andiamo con ordine. Secondo il procuratore capitolino Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Francesco Caporale e il sostituto Simona Marazza, Berlusconi sarebbe stato vittima di un'estorsione «ordita da Tarantini e Lavitola», i quali risultano indagati. Avrebbero, in sostanza, messo alle strette il leader del Pdl, con la minaccia di seguire una strategia processuale che consentisse la diffusione delle intercettazioni del caso Escort (cosa ugualmente accaduta). A Bari, invece, l'ipotesi è diversa.
Il procuratore aggiunto Pasquale Drago ha iscritto nel registro degli indagati Berlusconi e Lavitola, ritenendoli colpevoli di aver indotto Tarantini a fornire false dichiarazioni ai pm, così da evitare particolari "scottanti" delle notti tra Arcore e villa Certosa. Entrambi i fascicoli, con le dichiarazioni rilasciare ieri alla Procura di Roma, ora vanno verso la chiusura.
L'audizione di ieri del Cavaliere, comunque, non ha fornito elementi nuovi rispetto a quanto ha già dichiarato con un memoriale del 13 settembre 2011. «Ho conosciuto il signor Tarantini e sua moglie alcuni anni orsono. Mi è stato presentato come un imprenditore di successo e da più parti ho avuto su di lui positive indicazione», si legge nell'atto. Racconta che «dopo il suo arresto Tarantini e la moglie mi scrissero delle accorate lettere inviatemi presso la segreteria di Roma. Il Tarantini protestava la propria estraneità alle accuse che gli venivano mosse, si scusava per il disagio che mi aveva procurato, si lamentava per il trattamento mediatico e giudiziario che gli veniva riservato».
Aggiunge che «sia lui sia la moglie mi fecero sapere di essere in gravissime difficoltà economiche. Conversando casualmente con il Lavitola, questi mi disse di conoscere Tarantini. Mi risulta che in quel periodo, che collocherei nell'estate 2010, sia nato un buon rapporto di amicizia fra loro». E arrivano le dazioni di denaro: «Tarantini e la moglie mi fecero pervenire più volte lettere in cui mi presentavano la gravità della loro situazione economica, chiedendomi anche aiuto per finanziare la loro azienda e per evitare il fallimento. Lo stesso Lavitola mi segnalò una situazione di vera disperazione di una famiglia che era passata da una vita agiata a grandi ristrettezze, che avevano coinvolto anche il fratello (Claudio Tarantini, ndr), con la sua famiglia, la madre e altri familiari. Mi rappresentò anche il rischio che il Tarantini mettesse in atto episodi di autolesionismo». Dunque «feci pervenire al Tarantini e alla moglie del denaro o consegnandolo direttamente al Lavitola o facendoglielo consegnare in alcune rare occasioni dalla mia segretaria. Si trattava di somme che variavano tra i 5mila e 10mila, 5mila per il Tarantini e 5mila per la moglie».
Fin qui la versione di Berlusconi, che ritiene i pagamenti dei semplici "prestiti" a una persona bisognosa. Tuttavia c'è da dire che Tarantini già nell'estate del 2009, a indagine Escort esplosa, aveva avuto una copertura dell'allora premier: la difesa degli avvocati Nico D'Ascolta e Giorgio Perroni, entrambi molto vicini al Cavaliere.
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