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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 06:38.

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PARIGI - La crisi europea continua. Nel primo trimestre la Francia, seconda economia dopo la Germania, è ufficialmente entrata in recessione. Mentre la zona euro (stando ai primi dati diffusi da Eurostat e basati sulle rilevazioni di 20 Paesi su 27, anche se ci sono tutti i grandi e quindi le cifre finali non dovrebbero cambiare) ha registrato il quarto trimestre consecutivo di calo del Pil: -0,2%, dopo il -0,6% dell'ultima parte del 2012 e rispetto a un -0,1% previsto dagli analisti. Solo tre Paesi (Germania e Belgio con +0,1% e Slovacchia con +0,3%) hanno fatto segnare una crescita. E uno, l'Austria, un andamento piatto.

A pesare sul dato complessivo è soprattutto quello della Francia, da molti ritenuta il nuovo malato d'Europa. L'Insée, l'Istat d'Oltralpe, ha annunciato una caduta del Pil dello 0,2% (anche in questo caso il consensus degli economisti prevedeva un -0,1%), identica a quella del quarto trimestre 2012 (e del secondo). Accompagnando questa cifra con altre, per certi versi anche più preoccupanti: i consumi sono arretrati dello 0,1% (diretta conseguenza di un calo del potere d'acquisto nel 2012 dello 0,9%, il più forte degli ultimi trent'anni); le esportazioni hanno fatto segnare una flessione dello 0,5%, confermando i gravissimi problemi di competitività dell'economia francese; e soprattutto gli investimenti delle imprese (in diminuzione da cinque trimestri) sono scesi dello 0,8 per cento.

Parigi entra quindi nel 2013 con un acquisito di crescita negativo per lo 0,3% e sembra alquanto difficile, per non dire irrealistico, immaginare che possa chiudere l'anno con un Pil in aumento dello 0,1 per cento. Come sta scritto nel programma di stabilità inviato alla Commissione (su cui Bruxelles dovrà pronunciarsi il 29 maggio) e come ha ribadito ancora ieri il ministero dell'Economia. Contraddetto poche ore più tardi dallo stesso presidente François Hollande, che nella capitale europea ha incontrato i 27 commissari dell'Unione: «È probabile che nel 2013 ci sarà una crescita nulla». L'ennesimo segnale confuso e pasticciato, l'ennesima correzione di previsioni cui ormai non crede più nessuno. A Bruxelles Hollande ha anche negato che esista un asse tra Italia e Francia contro la Germania: «Se davvero fosse così - ha spiegato - si andrebbe contro l'Europa e contro gli interessi di Italia e Francia».

A Parigi intanto crescono le polemiche sul funzionamento di Bercy e le voci di un imminente rimpasto per mettere ordine in un ministero dell'Economia super affollato (sono in sette tra ministri e vice ministri) e senza una guida sufficientemente autorevole.

Di fronte a simili numeri sembrano peccare di ottimismo anche le stime della Commissione, che ha immaginato per la Francia nel 2013 un Pil in calo dello 0,1% (e un più credibile deficit al 4,2% rispetto all'impossibile 2,9% su cui insiste il Governo francese).

Cifre che aumentano la pressione nei confronti di Hollande (il quale ha ammesso che «la situazione è grave e non ha senso minimizzarla», pur sostenendo che è meno drammatica di quella del 2008/2009, che il peggio è passato e che riguarda comunque tutta l'Europa) affinché metta finalmente mano con coraggio e determinazione alle riforme strutturali che Bruxelles e Berlino pretendono in cambio dello slittamento di due anni del target deficit al 3% del Pil.

La Commissione insiste sulle pensioni, su una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e su una più forte liberalizzazione di beni e servizi. Con un numero ben preciso in testa: il 57,1% di spesa pubblica sul Pil che la Francia dovrebbe raggiungere nel 2014, portandosi al primo posto di una poco invidiabile classifica europea fino a quest'anno guidata dalla Danimarca. Rispetto alla media del l'Unione (50,2%) si tratta di quasi sette punti di Pil francese, qualcosa come 140 miliardi. C'è insomma di che lavorare, in termini di tagli e di ottimizzazione.

«La Francia - ha detto Hollande a Bruxelles - non è il malato d'Europa, visto che tutta l'Europa è in recessione. Il problema di fondo è quello dei divari di competitività. Noi abbiamo già avviato alcune riforme in questa direzione e andremo avanti. Non perché ce lo chiede l'Europa ma perché è nostro interesse». Purché faccia in fretta.

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