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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 06:39.

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Nel giorno in cui gli indignados tornano nelle piazze per chiedere «lavoro e giustizia sociale», di nuovo a due anni esatti dalle prime manifestazioni del Movimento 15M, e mentre l'Eurozona attraversa la recessione più lunga e pesante dalla nascita della moneta unica, la Spagna prova a guardare avanti e si aggrappa all'unico appiglio disponibile per tentare di risalire: le esportazioni, in Europa e ancora di più fuori dal continente.
Lo fanno i colossi, i grandi marchi del tessile, delle telecomunicazioni, dell'energia. Ma anche piccole imprese in lotta per la sopravvivenza. «Siamo riusciti a farcela fino a oggi solo grazie ai mercati esteri, soprattutto il Golfo Persico e il Sud America», dice Francisco Elias, fondatore e presidente di Bombas Elias, impresa di Barcellona che produce pompe idrauliche. «Abbiamo dovuto tagliare l'organico da 56 a 15 dipendenti. Non è stato facile mandare a casa persone che lavoravano con noi da molti anni, ma non avevamo scelta, siamo piccoli, fatturiamo tre milioni di euro all'anno e la crisi è durissima. La domanda interna è crollata, senza i contratti all'estero avremmo chiuso: fino a tre anni fa vendevamo in Spagna il 70% della produzione e solo il 30% andava all'estero, oggi il rapporto si è del tutto invertito».
L'economia spagnola anche nel 2013, secondo le stime dello stesso governo di Madrid, subirà una contrazione non inferiore all'1,5%, il tasso di disoccupazione è salito sopra il 27 per cento. Ma le esportazioni cresceranno più di quelle dei partner europei: la Commissione europea stima per quest'anno un incremento del 4,1%, quasi il triplo di quanto si prevede per Francia e Italia, il doppio rispetto alla Germania.
«È un fatto, anche in questi anni di profonda crisi, la Spagna ha mantenuto, più e meglio delle altre economie europee, la capacità di competere sui mercati internazionali», dice José Manuel Campa, economista dell'Università di Navarra, già segretario di Stato all'Economia. «Se guardiamo alla quota sulle esportazioni globali, la Spagna tra il 1999 e il 2011 è arretrata del 9%, mentre la Francia ha perso il 40%, l'Italia il 32% e anche la Germania ha ceduto il 12%», continua Campa presentando il report «Spagna, un Paese di opportunità», elaborato dal Consejo empresarial para la competitividad.
«La Spagna sta cercando, con fatica ma con determinazione, di cambiare la propria struttura economica. La nostra economia non può più fare affidamento sull'effetto trainante delle costruzioni e sta riscoprendo settori dove è determinante la conoscenza e dove il valore aggiunto è maggiore», spiega Fernando Casado, ceo del Consejo empresarial para la competitividad, un'organizzazione creata nel 2012 da 15 grandi gruppi spagnoli che come fatturato valgono il 35% del Pil spagnolo, mettono assieme il 70% della capitalizzazione dell'Ibex 35 e danno lavoro a 1,7 milioni di spagnoli. Ci sono Acciona, Acs, Banco Santander, Bbva, El corte ingles, Ferrovial, Grupo Planeta, Iberdrola, Inditex, La Caixa, Mango, Mapfre, Mercadona, Repsol, Telefonica e anche l'Instituto de la empresa familiar.
«Esistono imprese spagnole di eccellenza che hanno la capacità di trainare tutta l'economia del Paese. Penso - afferma Campa - allo sviluppo di gruppi come Inditex: si pensava che nelle economie avanzate non ci fosse spazio per il tessile e loro si sono inventati un nuovo modello, più vicino alla logistica che alla manifattura tradizionale».
La Spagna sta guadagnando capacità di competere, gli indici di produttività del lavoro migliorano «in gran parte a causa della disoccupazione, ma non solo», dice ancora Campa che prevede «un ritorno a partire dal 2013 degli investimenti in macchinari». Il report del Consejo empresarial para la competitividad prevede un ritorno alla crescita nell'ultimo trimestre del 2013. «Ci sono le condizioni perché la Spagna esca più velocemente degli altri dalla crisi. Le infrastrutture realizzate negli ultimi dieci anni, la produttività che migliora, e lo scenario politico nazionale ed europeo che si è assestato fanno ben sperare», secondo Luis Griffo, direttore generale per il Sud Europa di Teleroute, impresa di trasporti della multinazionale Wolters Kluwer.
La Spagna dovrà insistere sulle riforme strutturali - dal mercato del lavoro, alle pensioni - come chiede l'Unione europea. «Ma ha bisogno di credibilità che sta riconquistando sui mercati finanziari e che dipende anche dalle decisioni che l'Europa prenderà sulle banche, sugli aiuti alla crescita, sull'integrazione del mercato interno», dice ancora Griffo.
«Si se puede!», gridano gli indignati a Madrid e a Barcellona chiedendo «lavoro». E anche le imprese in Spagna cominciano a pensare che qualcosa si stia muovendo, che sarà difficile ma si può fare.
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