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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 06:40.

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ROMA
Enrico Letta da Varsavia manda a dire che non si farà distrarre «da questioni che non abbiano a che fare con il programma» su cui ha ottenuto la fiducia. A partire dalle intercettazioni: «Non mi sembra che ne facessero parte». E lo stesso vale sulla eleggibilità o meno del Cavaliere. Questione che il Pd ha sempre trattato con prudenza ma che è nuovamente tornata alla ribalta dopo l'intervista rilasciata ieri ad Avvenire da Luigi Zanda. Il capogruppo dei democratici al Senato ha ribadito quello che aveva già detto in altre occasioni, ovvero che Berlusconi non è eleggibile in quanto titolare di concessioni pubbliche. Poco importa che nel tardo pomeriggio tenti una retromarcia, ricordando che si tratta di una «posizione personale». Tutto il Pdl ha già inondato le agenzie di stampa con dichiarazioni minacciose ma anche scontate dal fronte Pdl: se il Pd vota per l'ineleggibilità cade il governo. Una posizione speculare a quella tenuta il giorno prima dal Pd, contro il rilancio della riforma delle intercettazioni da parte dei berlusconiani. Il nesso è sempre lo stesso: il Cavaliere. Che si tratti del conflitto d'interesse, dei processi, della riforma della giustizia o della nomina a senatore a vita, giudicata da Zanda «ridicola» dopo che nel Pdl più d'uno se ne era fatto riservato latore.
Eppure al di là dei proclami, la sensazione è che nessuno abbia voglia di assumersi (ora) la responsabilità di far cadere l'esecutivo. Lo stesso ex premier ha dato mandato ai suoi di non esasperare i toni. «C'è una forte possibilità che il Governo duri» ha detto Berlusconi nel suo intervento alle cena elettorale di Gianni Alemanno, aggiungendo: «Oltre alle riforme economiche, il Governo deve fare anche le riforme costituzionali». Anche la decisione di evitare per il momento la piazza, ad eccezione del comizio di chiusura a Roma per Alemanno, va letta in tal senso. Lo conferma anche la frenata pomeridiana di Zanda che definisce quello di ieri un «inutile polverone» per una posizione «personale che ho da 10 anni». A sostegno di questa tesi «personale», ricorda di non far neppure parte della giunta per le elezioni e per le autorizzazioni. Già, la Giunta. Martedì si dovrebbe decidere il presidente. Il Pd non si è ancora espresso e qui il ruolo di capogruppo di Zanda pesa eccome. Sel la rivendica attaccando i democratici: «Non vorremmo che la presa di posizione di Zanda fosse solo un alibi per giustificare l'elezione del leghista Volpi, cioè di un candidato gradito a Berlusconi». Al momento non ci sono prese di posizioni ufficiali. La presidenza deve andare all'opposizione. Alla Camera, la Giunta per le autorizzazioni è guidata da La Russa (Fdi) mentre quella per le elezioni dal grillino D'Ambrosio. A Palazzo Madama se la giocano Lega e Sel. Il ruolo del presidente può essere determinante soprattutto per gestire la tempistica. Non a caso il capogruppo del M5s al Senato Crimi ha già rilanciato dicendosi pronto a sostenere la proposta per l'ineleggibilità.
Ma c'è un altro punto "caldo" su cui Zanda ha detto parole inequivocabili: mai Berlusconi senatore a vita. Una presa di posizione che tira in ballo anche il Capo dello Stato, cui spetta la potestà di nomina, peraltro ampiamente esercitabile dopo la scomparsa di Rita Levi Montalcini e Giulio Andreotti. Il Cavaliere un pensierino pare ce l'abbia fatto davvero. Brunetta parla di vera e propria «intimidazione» nei confronti di Napolitano e chiede al Pd di smarcarsi. Allo stesso tempo però il capogruppo del Pdl alla Camera ribadisce anche che sull'appoggio al governo «siamo tranquilli». Che Brunetta sia trasformato in colomba? Niente affatto. Solo che i sondaggi avvertono che gli italiani in questa fase non vogliono sentir parlar d'altro che non siano i loro problemi. E allora riecco Brunetta: «Se entro agosto non si fa la riforma dell'Imu, compresi i capannoni, cade il governo». Nel Pdl la voglia di elezioni è sempre alta e certo ad alimentarla ci sono anche i timori per le vicende processuali di Berlusconi. A dicembre dovrebbe arrivare la sentenza definitiva sul processo Mediaset, per cui l'ex premier è già stato condannato a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici: «Se la Cassazione confermasse, il governo forse cadrebbe un attimo prima...», cassandreggia Pietro Longo, uno degli avvocati dell'ex premier.
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