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Questo articolo è stato pubblicato il 17 maggio 2013 alle ore 14:22.

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Il gettito dell'Imu nel 2012 è stato pari a 22 miliardi e 629 milioni di euro, ai quali occorre aggiungere un altro miliardo e 49 milioni proveniente dall'Imu sulle aree edificabili. In totale, quasi 24 miliardi provenienti dall'imposizione sulla proprietà degli immobili, ovvero l'1,54 per cento del Pil italiano.

È tanto? È poco? È stato certamente forte l'impatto congiunturale dell'incremento dell'imposta, deciso dal governo Monti in un anno di crisi economica, soprattutto se si considerano quei dati appena diffusi dall'Istat che parlano di una flessione della produzione di costruzioni pari al 20,9 per cento su base annua nel mese di marzo.
Se però si allarga lo sguardo a un confronto internazionale, si scopre che non è l'imposizione sulla casa il terreno sul quale il nostro paese detiene il Guinness dei primati negativi, ma è tuttora, come ben sanno imprenditori e lavoratori dipendenti, il cosiddetto tax wedge, il cuneo fiscale che accresce il costo del lavoro e assottiglia le buste paga.

Infatti, nel campo della casa l'1,54% del Pil italiano di imposte viene molto dopo il 3,3% del Pil rastrellato dal fisco inglese e il 2,5% del Pil ottenuto dall'Erario francese mentre resta appena al di sopra dell'1,4% del Pil danese o dell'1,3% belga.
Tra i paesi europei, afferma uno studio dell'agenzia del Territorio con dati riferiti al 2010, la Spagna, la Danimarca, il Belgio, la Francia e il Regno Unito sono caratterizzati da un rapporto tra prelievo sul patrimonio e Prodotto interno lordo superiore a quello italiano (quando si parla di patrimonio si considerano anche le transazioni finanziarie e i capital gain e in tal caso, ad esempio, nel Regno Unito il prelievo complessivo sale al 4,3 per cento del Pil).
I paesi dell'est europeo, la Germania e la Svezia mostrano al contrario valori bassi e inferiori all'1%.

Invece, per quel che riguarda il tax wedge il primato negativo è indiscutibilmente quello italiano: il nostro paese, soprattutto se si tiene conto oltre che dei contributi anche di altri tributi che gravano sul costo del lavoro (Irap,Tfr e trattenuta Inail) è il primo dei grandi stati europei: l'Italia con il suo 53,5% è superata solo dal Belgio con il 55,5% , a fronte di una media dei paesi Ocse pari al 35,6%. È da ricordare, poi, che molti studi dell'Ocse e del Fondo monetario internazionale hanno mostrato che le imposte hanno effetti diversi sulla crescita e da queste analisi emerge che le imposte ordinarie sul patrimonio e quelle sui consumi sono le meno distorsive in rapporto alle performance dell'economia mentre le imposte sui redditi da lavoro e da impresa sono le più penalizzanti per l'economia. Insomma, un taglio secco dei contributi sociali avrebbe effetti positivi sicuri sulla crescita mentre l'effetto della riduzione delle imposte sulle abitazioni non è certo. Chissà se il differimento temporale di tre mesi della rata dell'Imu sulla prima casa sarà veramente d'aiuto per una riflessione approfondita in campo fiscale.

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