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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2013 alle ore 08:21.

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«El infierno es poco». Dice così lo striscione sorretto da due ragazzi a pochi isolati dall'abitazione di Jorge Rafael Videla, nel centro di Buenos Aires. L'ex dittatore è morto ieri, in carcere, a 87 anni. Ex comandante dell'Esercito che depose Isabelita Peron e guidò il governo militare dell'Argentina tra il 1976 e il 1981.
Bastano poche parole, le sue, per delineare il profilo politico e umano di Videla. Amava ripetere: «Prima elimineremo i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente quelli che resteranno indifferenti e infine gli indecisi».
Videla era rinchiuso nel penitenziario di Marcos Paz dove scontava due condanne all'ergastolo e una a 50 anni per crimini contro l'umanità. Negli anni della dittatura argentina morirono 30mila persone molte delle quali desaparecidos. Ai processi sempre imperturbabile, spettrale. Non si è mai pentito. Alcune migliaia di giovani, dopo lunghi periodi di detenzione in centri di tortura, vennero caricati sui famigerati voli della morte e lanciati nel Rio de La Plata.
L'orrore di quegli anni è stato raccontato da decine di libri, tra cui "Il volo", di Horacio Verbitsky, e "Diario di un clandestino", di Miguel Bonasso, "Il silenzio infranto", di Vera Jarach e Carla Tallone, poi film e testimonianze di qualche scampato.
L'Argentina di quegli anni è stata spesso paragonata alla Germania dopo la confusione della Repubblica di Weimar. Gli orrori del nazismo, i campi di detenzione e l'impossibilità di ritrovare i corpi delle vittime, la mancanza del rito funebre che consente l'elaborazione del lutto. I centri di detenzione rappresentano la versione argentina dei campi di sterminio, di centri in cui viene praticata la tortura e infine l'uccisione dei reclusi. L'élite argentina approva tacitamente questo sterminio, così come la Chiesa argentina, tanto da benedire le insegne delle truppe e dare l'assoluzione ai peccati dei generali.
«Gli anni Settanta - scrive Ernesto Sabato, uno dei massimi scrittori argentini - sono rimasti nel ricordo di tutti come un'epoca di disprezzo per la sacralità umana». E poi ancora: «Forse non riusciremo a ottenere una giustizia assoluta che possa illustrare quelle gravi ingiustizie. Ma esiste la decisione di non tacere e di continuare a lottare affinché non si sciolga nell'oblio il martirio di tanti esseri umani. Questa è la militanza della memoria».
La giunta militare di cui Videla era comandante ha condotto una repressione nei confronti degli avversari politici che prescindeva da qualsiasi ruolo istituzionale. Ha scelto di dar vita a una forza armata che combatteva con metodi illegali l'illegalità della guerriglia.
Videla è stato condannato anche per un altro reato, il "furto di neonati": i figli delle donne incinte arrestate e lasciate in vita fino al momento del parto, venivano poi assegnati, in adozione clandestina, a militari.
Oltre ai crimini più efferati la morte di Videla rievoca i drammi socioculturali subiti da migliaia di argentini: il sequestro delle loro terre, che ha annullato l'identità e la cultura di cui erano depositari. La cancellazione delle radici.
«Mi sento tranquilla ora, un essere spregevole ha lasciato questo mondo». Ha parlato così Estela Carlotto, rappresentante dell'Associazione Abuelas de Plaza de Mayo, commentando ai microfoni dell'emittente argentina Radio Continental la morte di Videla. L'associazione ha come primo obiettivo quello di localizzare e restituire alle famiglie legittime tutti i bambini sequestrati e scomparsi. Ha avuto due nomine per il premio Nobel per la Pace, nel 2008 e nel 2010.
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