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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 06:41.
Dopo l'Islanda, la Svizzera. Non potendo portare al tavolo dei negoziati l'Unione europea, che le fa la faccia feroce sui pannelli solari e non le riconosce lo status di economia di mercato, la Cina si prepara a piantare un'altra bandierina nel Vecchio continente, grazie all'accordo di libero scambio che presto firmerà con la Confederazione elvetica. Ad aprile aveva rotto il ghiaccio con l'Islanda, il primo Stato europeo a siglare un'intesa del genere con Pechino.
Il 15 maggio, il ministro dell'Economia elvetico, Johann Schneider-Ammann, ha annunciato che Svizzera e Cina sono ormai vicinissime a chiudere il negoziato avviato tre anni fa. Le diplomazie commerciali hanno infatti messo a punto l'intesa, che ora dovrà essere esaminata e approvata dal Parlamento elvetico. La Cina è già il sesto maggior mercato di destinazione dell'export svizzero, cresciuto di 10 volte negli ultimi 10 anni. Nel complesso, la Cina è il terzo partner commerciale della Svizzera, dopo Unione europea e Stati Uniti.
L'intesa ridurrà le tariffe su una serie di comparti, come la chimica, la farmaceutica, gli orologi e l'agricoltura. Secondo gli analisti, i gruppi elvetici come Swatch, Richemont (orologi) e Schindler (elevatori) sono quelli che più hanno da guadagnare dall'accordo.
I beni importati in Cina dalla Svizzera, al momento, scontano un dazio dell'11%, che sale al 20% per gli orologi di lusso da più di 10mila yuan (1.270 euro). Di quanto queste tariffe saranno abbassate non è ancora noto, ma gruppi come appunto Swatch e Richemont, che già realizzano in questo mercato rispettivamente il 20 e il 10% delle proprie vendite, ne guadagneranno un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti europei.
Il negoziato ha incontrato l'ostilità del settore agricolo e dell'industria alimentare, che temono un'invasione di prodotti cinesi a scapito dei fatturati dei produttori locali, come pure degli standard sanitari e igienici. Il ministro Schneider-Ammann, che venerdì si prepara a incontrare a Berna il premier cinese Li Keqiang, ha però assicurato che la Confederazione non si impegnerà a fare concessioni in aree sensibili e in particolare nel settore agricolo. Il ministro ha anche affermato che nell'accordo, in qualche modo, è stato inserito un riferimento alla questione del rispetto dei diritti umani.
Il trattato con la Cina sarebbe per la Svizzera (che sta negoziando anche con l'India) il più importante dopo quello siglato nel 1972 con l'Unione europea.
Al centro dell'intesa tra Pechino e Reykjavik c'è invece la cooperazione nel settore energetico, in particolare l'esplorazione delle risorse petrolifere al largo della costa nordorientale dell'isola. Pechino, però, puntava ad altro: la libertà di movimento per i propri lavoratori, apertura che l'Islanda non ha voluto concedere.
In questo caso il negoziato è durato sei anni, avviato dal Governo islandese per ridare spinta alla propria economia dopo il crollo del 2008, quando le tre maggiori banche del Paese collassarono. L'Islanda ha già un trattato di libero scambio con l'Unione europea e l'83% delle sue esportazioni finiscono nello Spazio economico europeo, che oltre ai Ventisette include Norvegia, Liechtenstein e la stessa Reykjavik.
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