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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 06:42.

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ROMA
«Avviare senza indugio un processo di puntuali modifiche costituzionali». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto incontrare ieri il ministro azzurro per le Riforme Gaetano Quagliariello e i presidenti delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, Francesco Paolo Sisto (Pdl) e Anna Finocchiaro (Pd), per fare il punto sull'iter riformatore in vista del 29 maggio, quando le Camere si riuniranno per votare le mozioni e dare il via allo strumento della Convenzione, che sarà formata dalle commissioni di Camera e Senato riunite in sede redigente. Dal momento che per istituire la Convenzione è necessaria una legge costituzionale con doppia lettura, nel frattempo entrerà subito nel vivo il lavoro della commissione governativa formata da esperti che avrà il compito di supportare il Governo con consigli "tecnici" e preparazione di testi: per istituire la commissione, che sarà presieduta formalmente dal premier Enrico Letta ma sarà gestita di fatto dal ministro Quagliariello, è sufficiente un decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Ieri Letta ne ha parlato in un lungo colloquio con il costituzionalista vicino ai grillini Stefano Rodotà. Rodotà, pur ribadendo la sua intenzione di non far parte della commissione, ha concordato con il premier degli incontri periodici durante tutto l'iter riformatore.
La scelta di non mischiare eletti e non eletti, con compiti solo consultivi assegnati alla commissione di esperti, è stata apprezzata dal capo dello Stato. Che ha ribadito ai suoi interlocutori come la riforma della seconda parte della Costituzione sia ormai inderogabile. Si tratta di «aspetti dell'ordinamento della Repubblica – recitava ieri il comunicato del Quirinale – che richiedono di essere adeguati ad esigenze da tempo individuate di un più lineare ed efficace funzionamento dei poteri dello Stato». In cima alle priorità il superamento del bicameralismo perfetto e il taglio dei parlamentari, come ribadito da Letta nel suo discorso di insediamento e come scritto nero su bianco dai saggi nominati dallo stesso Napolitano alla fine del suo primo mandato.
Quanto alla legge elettorale, il capo dello Stato vede con favore – pur naturalmente non entrando nei dettagli della proposta allo studio – la soluzione alla quale sta lavorando il ministro Quagliariello, che su questo ha ricevuto pieno mandato da Letta: in attesa della grande riforma che decida se andare a Parigi con il semipresidenzialismo o a Berlino con il premierato forte, il Governo vuole "mettere in sicurezza" la legge elettorale per evitare di tornare alle urne con il Porcellum nel caso in cui la situazione politica dovesse precipitare. E anche per prevenire la pronuncia da parte della Corte costituzionale dopo la decisione della Cassazione di rimettere appunto ai giudici delle leggi la questione della legittimità del Porcellum. Almeno tre gli aspetti in odore di incostituzionalità: l'assenza di una soglia minima per l'assegnazione del premio di maggioranza del 54%; l'esistenza di due diversi sistemi di attribuzione del premio alla Camera e al Senato; l'impossibilità di scegliere gli eletti per via delle liste bloccate. La manutenzione minima del Porcellum prevede dunque l'introduzione di una soglia del 40% per far scattare il premio di maggioranza (o addirittura, è l'altra ipotesi in campo, l'abolizione del premio tout court), la reintroduzione delle preferenze e l'uniformazione dei premi di Camera e Senato.
Si tratta appunto di una manutenzione minima per mettere in sicurezza la legge elettorale, come ha ricordato ieri anche Napolitano, che non dovrebbe caricarsi di troppi significati politici e non deve essere di ostacolo a una riforma elettorale più coerente con l'ordinamento che si sceglierà. Il timore di molti è tuttavia quello che alla fine la manuntenzione resti stabile. Da qui le resistenze del Pd che ieri, con prima firma Finocchiaro, ha presentato in Senato un Ddl che reintroduce il Mattarellum con alcune importanti correzioni (abolizione dello scorporo e introduzione di un premio di maggioranza al di sopra del 40%). Ma anche del Pdl, che con Maurizio Gasparri si appresta a ripresentare domani, sempre in Senato, la sua proposta di elezione diretta del Capo dello Stato sul modello francese. «Ritengo che sia un errore partire dalla manutenzione del Porcellum, abbiamo tutto il tempo per fare fin da ora una riforma più ambiziosa», dice Gasparri.
La novità è che l'elezione diretta del capo dello Stato non è più un tabù in casa Pd: dopo Matteo Renzi, anche Walter Veltroni ha sposato il sistema francese. Sistema al quale, non da ora, guarda pure Massimo D'Alema. E la stessa Finocchiaro non chiude la porta, purché ci siano i necessari pesi e contrappesi a cominciare dal conflitto d'interessi. Oggi il neosegretario Guglielmo Epifani farà un primo punto sulla questione con il ministro per i rapporti con il Parlamento Dario Franceschini e i vertici di Camera e Senato. Domani il summit dei partiti con il ministro Quagliariello.
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