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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 06:41.
LUGANO
La Svizzera è divisa sul delicato capitolo degli accordi fiscali e del segreto bancario. Mentre Ue, Usa e Ocse accentuano la pressione sulle piazze finanziarie che hanno forme di segreto perché aderiscano allo scambio automatico di informazioni, il Governo e i banchieri elvetici hanno al loro interno posizioni diverse.
Nell'Esecutivo elvetico i socialisti sono per l'abbandono del segreto bancario e per l'adozione dello scambio automatico; la destra nazionalista è invece per il mantenimento del pur emendato segreto attuale e per il no allo scambio automatico; i partiti di centro – liberali e democristiani - hanno sfumature diverse ma nella sostanza sono per negoziati con Ue ed Ocse per trovare una soluzione intermedia, in cui si fissino per il presente e per il futuro forme allargate di collaborazione nella lotta all'evasione fiscale ma si stabilisca anche una via per tassare i capitali non dichiarati da tempo depositati in Svizzera senza far cadere il segreto bancario. Questa via è quella che ha cercato di percorrere il piano elvetico Rubik, accettato da Gran Bretagna e Austria ma bocciato sul filo di lana dalla Camera tedesca dei Länder. I partiti di centro, decisivi nello scacchiere elvetico, vorrebbero insomma una «strategia del denaro dichiarato» per quel che riguarda il futuro, ma vorrebbero arrivarci senza lasciare scoperti i clienti del passato e senza infrangere le norme elvetiche sulla tutela della sfera privata.
La maggior parte dei banchieri svizzeri è cauta. Qua e là hanno fatto capolino posizioni inedite favorevoli allo scambio automatico, come quella di Pierin Vincenz, che guida il Gruppo Raiffeisen. Ma gli esponenti di primo piano hanno posizioni più mediate. Patrick Odier, presidente dell'Associazione svizzera dei banchieri, non ha escluso che lo scambio di informazioni possa essere ampliato, ma ha sottolineato la necessità che se ne parli anche per tutte le piazze finanziarie mondiali, comprese quelle asiatiche e quelle che fanno capo a Usa e Gran Bretagna. D'altro canto la stessa Eveline Widmer-Schlumpf, ministro delle Finanze, ha ribadito che la trattativa su questi temi andrebbe fatta anche a livello Ocse. Patrick Odier ha anche ripetuto che bisogna trovare una soluzione anche per i capitali da molto tempo depositati, senza infrangere il segreto. Stessa musica nelle posizioni di Alfredo Gysi, uno dei creatori del piano Rubik, presidente del cda della Bsi e presidente dell'Associazione banche estere in Svizzera. Sergio Ermotti, ceo della Ubs, dal canto suo ha espresso posizioni simili a quelle di Odier e Widmer-Schlumpf. In vista di nuovi negoziati con Ue e Ocse, Berna e i banchieri stanno ora cercando di trovare maggiore compattezza. Intanto, non è chiusa la via del negoziato fiscale bilaterale con l'Italia, riaperto nei mesi scorsi.
Nel frattempo, ci sono da registrare altri due elementi. Widmer-Schlumpf ha affermato che sono in stadio avanzato le trattative con gli Usa sulle penalità per le banche svizzere che oltre oceano erano state coinvolte nelle accuse delle autorità Usa su reati fiscali dei clienti americani. Inoltre, il Governo di Berna ha annunciato un piano per superare l'annosa questione della tassazione privilegiata per le holding straniere che hanno sede in Svizzera. La Ue, in particolare, ha accusato la Confederazione di concorrenza sleale su questo terreno. Il piano prevede la cessazione del regime privilegiato nei Cantoni dove questo esiste, ma nel contempo anche una pressione fiscale mitigata per tutte le holding. Un segnale di apertura verso la Ue ed al tempo stesso il mantenimento di una pressione fiscale interna non elevata. Ma la vera partita fiscale per Berna si giocherà sul capitolo della tassazione del risparmio e del segreto bancario.
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