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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2013 alle ore 15:01.

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Se non fosse per le tradizioni, i riti di affiliazione e le dinamiche di sangue, si parlerebbe di holding del business sporco. E invece è 'ndrangheta. ‘Ndrangheta che abbraccia la massoneria e cerca di influenzare le istituzioni. L'operazione Lybra, portata a termine nelle scorse ore dalla DDA di Catanzaro, entra nelle stanze buie delle ‘ndrine, raccontando la provincia calabrese che rompe gli argini della territorialità e aggredisce le economie di tutta Italia.

Ventiquattro arresti, diciannove aziende e conti correnti per quaranta milioni di euro posti sotto sequestro, quarantacinque immobili sigillati tra cui due bar frequentatissimi, nel centro di Roma. Sono questi i numeri odierni. Uno schiaffo pesante ai danni del clan Tripodi, cartello criminale vicinissimo ai Mancuso di Vibo, autentici signori della coca in Calabria.

La ricostruzione post alluvione
Gli affari del clan si muovevano su e giù per la penisola: dall'entroterra calabro fino a Brescia, Padova, Verona, Milano, Roma e Bologna. Tutto nel segno del business. Dalla ricostruzione dell'Abruzzo post terremoto, fino all'alluvione che nel 2006 colpì proprio Vibo provocando 3 morti, 90 feriti e danni per 200 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, tutti gli appalti del dopo alluvione sarebbero stati condizionati dai Tripodi attraverso un controllo delle imprese vibonesi interessate ai lavori. La tecnica era semplice: il clan riusciva a pilotare l'aggiudicazione delle gare d'appalto, poi indirizzava i subappalti verso imprese "amiche" o imprese che comunque avrebbero pagato una tangente del 5% sull'ammontare dell'intero appalto. Un 5% che i Tripodi denominavano "tassa di legge", perché la legge è in mano ai clan nelle terre della ‘ndrangheta.

Voti e appalti
Infiltrare la politica, secondo quanto ricostruito dalla DDA, era un altro cruccio dei Tripodi. Da qui il tentativo di acquisire appalti pubblici nel Lazio attraverso il promesso sostegno elettorale ad un candidato (per il momento non indagato) alle elezioni del Consiglio Regionale del Lazio 2010. Un candidato che risulterà eletto. Ma l'emancipazione di un clan non passa solo dal denaro. L'inchiesta odierna conferma che il legame con la massoneria è la chiave vincente degli affari. Per gli investigatori, Francesco Comerci, titolare della società Edil Sud finito in manette oggi, era un prestanome del clan. E sarebbe stato lui a trovare un contatto con Paolo Coraci, residente a Roma e fondatore di una loggia massonica e del movimento politico "Liberi e Forti". L'accusa ritiene che nel 2010 Comerci avrebbe partecipato ad una cena elettorale per sostenere la candidatura al consiglio regionale del Lazio di Raffaele D'Ambrosio. In quella circostanza, sempre secondo l'accusa, Coraci avrebbe chiesto a Comerci il sostegno elettorale in favore di D'Ambrosio in cambio di appalti nel Lazio.

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