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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2013 alle ore 06:41.

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MILANO
Silvio Berlusconi ha continuato a frodare il fisco anche dopo la sua discesa in campo nel mondo della politica. Lo sostengono i giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza che l'8 maggio ha confermato la condanna per l'ex presidente del Consiglio a quattro anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni per il reato di frode fiscale. «Motivazioni surreali», ribatte Berlusconi. Che aggiunge: «Mai ho avuto conti all'estero. Mai neppure un centesimo delle asserite violazioni fiscali mi è pervenuto. Se vi è ancora un barlume di buonsenso, questa sentenza non potrà che essere posta nel nulla riconoscendosi la mia assoluta innocenza».
I giudici Alessandra Galli, Elena Minici ed Enrico Scarlini scrivono che «vi è la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire del gruppo B e, quindi, dell'enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore». E aggiungono che la pena stabilita in primo grado di giudizio «è del tutto proporzionata alla gravità materiale dell'addebito e alla intensità del dolo dimostrato. Si tratta – proseguono – di una operazione illecita realizzata e portata a termine costituendo società e conti esteri a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti anni. Parallelo alla ordinaria gestione delle società del gruppo. Sfruttando complicità interne (ed esterne) ad esso». Ed è a questo punto che i giudici d'Appello affermano che il sistema illecito è «proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice». Dunque, il cosiddetto «giro dei diritti» è continuato anche quando Berlusconi era presidente del Consiglio.
In 187 pagine di motivazione vengono ripercorse le tappe della vicenda che ha portato alla condanna di Berlusconi. I giudici citano la sentenza del processo contro l'avvocato inglese David Mills, accusato di testimonianza reticente a favore di Berlusconi: «Per la Fininvest erano state create tra 30 e 50 società (costituite prevalentemente nelle Isole del Canale e nelle Isole Vergini) che, nella contabilità della Cmm (la società di Mills) erano state suddivise in una lista A ed in una lista B. Tra queste società vi era "All Iberian", con sede in Guernsey, diventata nel corso della propria attività "la tesoreria di un gruppo di società offshore"». Il comparto B della Fininvest era «totalmente riservato», scrivono i giudici, a tal punto che vengono corrotti uomini della Guardia di Finanza per evitare che la sua esistenza venga svelata. Parte dei fondi delle società è «stata utilizzata per scopi illeciti: dal finanziamento, occulto, a uomini politici, alla corruttela degli inquirenti, alla corresponsione di somme a testi reticenti». I fondi neri all'estero vengono creati «interponendo fra le Major stesse e il gruppo Fininvest/Mediaset una serie di società estere che operavano adeguati ricarichi nella compravendita dei diritti» televisivi. Si otteneva così un duplice risultato: «non solo si creavano costi fittizi destinati a diminuire gli utili del gruppo e quindi le imposte versate all'erario italiano, ma si costituivano, appunto, ingenti disponibilità finanziarie all'estero». Le maggiorazioni di costo realizzate solo negli ultimi anni erano state di 368,5 milioni di dollari. A realizzare questo sistema illecito era «una ristrettissima cerchia di persone» vicine all'imputato. «Un imputato, un imprenditore – argomentano i giudici – che pertanto avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto che avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende».
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