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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2013 alle ore 08:23.

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I promotori del referendum di Bologna mi paiono ragionare in base alla logica suicida dello scorpione della favola, che annegò insieme alla rana che aveva punto: per uccidere il nemico, in questo caso la scuola dell'infanzia non statale, fanno colare a picco i bambini della scuola materna. Non è possibile contrastare questo tipo di posizione con la forza dei fatti o con la forza dei dati oggettivi, che vengono semplicemente ignorati. Ma proviamoci lo stesso.
Partiamo dal fatto che, dalla legge 62/2000 (fatta da un governo di sinistra e da un ministro del Pd, Luigi Berlinguer), il sistema scolastico nazionale è composto di scuole statali autonome e di scuole paritarie, che hanno superato un processo di accreditamento da parte dello Stato, che quindi conserva il controllo sull'intero sistema. L'Italia era rimasta, all'epoca e insieme alla Grecia, il solo paese dell'Unione a non riconoscere il ruolo pubblico delle scuole non statali accreditate. Ora, sulla carta, lo riconosce: ma mentre gli altri paesi supportano questa decisione con un contributo economico, nel nostro paese tale contributo è subordinato alla disponibilità di fondi, che è come dire che non esiste. E risulta difficile sostenere da sinistra che una libertà a pagamento tuteli i poveri e gli immigrati...
In secondo luogo, il principio di sussidiarietà, secondo cui lo Stato ha come compito non quello di sostituirsi ai cittadini nel rispondere ai loro bisogni, ma quello di aiutarli a farvi fronte da soli, con costi in genere molto minori e con risultati, sempre in genere, molto più soddisfacenti, è riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione (la più la più bella del mondo...), ma dal Parlamento europeo. Gli inglesi dicono che «chi paga i musicisti sceglie la musica», e questo per alcuni è un rischio, per altri un'ottima opportunità per liberarsi da ogni opposizione.
Dal punto di vista dei costi, limitiamoci alle scuole materne. Oltre duemila comuni italiani (circa uno su quattro) hanno formalizzato accordi con le scuole materne paritarie, e ospitano quest'anno circa 650mila bambini, quasi il 45% del totale. Un "posto bambino" nella scuola dello stato costa ai cittadini circa 6.500 euro l'anno, e il contributo dello Stato per le scuole paritarie è di 425 euro, il che significa che i 650.000 bambini "paritari" ci costano come 42.500 bambini "statali". Il costo aggiuntivo è stato variamente stimato, ma la statalizzazione del bambino paritario verrebbe a costare alla collettività tra i 4 e i 6 miliardi di euro, per non parlare della ricollocazione dei docenti, degli edifici necessari e via dicendo. Questi soldi lo Stato non li ha, e non si vede dove potrà trovarli. Non solo: ma i proponenti dovrebbero dimostrare (non asserire, che è un'altra cosa) che la qualità del servizio educativo nelle scuole dello Stato è così tanto più elevata da giustificare una simile spesa.
Per tutte le altre considerazioni sugli ingenti risparmi che le famiglie paritarie consentono allo Stato, rinvio al sito http://www.agesc.it/default.asp?id=389#b433: mi limito a citare che nel 2012 uno studente statale costava in media ai cittadini 7.319 euro contro 476 di uno studente paritario, con il massimo differenziale nella scuola secondaria di secondo grado, in cui i valori sono rispettivamente 8.108 e 47 (avete letto bene: 47, due pizze, due birre e due caffè). Ma l'articolo 33 non prevede che lo Stato possa risparmiare facendo ricorso al principio di sussidiarietà, e quindi questo aspetto non viene nemmeno preso in considerazione. Mi è di poco conforto pensare che, nella prospettiva di passaggio dall'insostenibile welfare state ad una più realistica welfare society prima o poi, più prima che poi, diverrà evidente che lo Stato non è più in grado di gestire in prima persona servizi educativi di qualità, e dovrà necessariamente fare ricorso alle iniziative della società civile. E un eventuale ritorno dallo Stato gestore esclusivo ai privati avrà costi insostenibili.
Il lettore che mi ha cortesemente seguito fin qui avrà forse notato che non ho mai parlato della libertà di scelta della scuola come primario diritto di cittadinanza, indipendentemente dalla religione, dall'etnia e dal genere, limitandomi alle considerazioni sull'efficacia delle due alternative. Per me personalmente, questo obiettivo è fondamentale e irrinunciabile, ma per evitare ogni sospetto di ideologia, non sono entrata nel merito. Una cosa mi fa molta paura, ed è che di questa ideologia siano vittime i bambini, di cui non si parla mai nei proclami dei referendari, e che mi paiono strumentalizzati per motivi che poco hanno a che vedere con il discorso educativo, e per di più con costi altissimi per i cittadini: lo Stato pagherebbe con i soldi di quelle stesse famiglie che vuole espropriare di un loro diritto primario! Perché questo è il nocciolo della questione: i bolognesi oggi, e forse altri domani, sono chiamati a scegliere fra un modello meno costoso che va contro il loro diritto di scegliere liberamente la scuola, e un modello più costoso che li vincola ad una scuola che non possono scegliere. Come direbbe Catalano...
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