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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2013 alle ore 18:43.

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Vincenzo Nibali (Ansa)Vincenzo Nibali (Ansa)

appassionante e congelante Giro d'Italia 2013. Un Giro sul ghiaccio che, al di là dei flagelli del meteo, sarebbe stato fantastico se Vincenzo Nibali avesse avuto degli avversari più solidi, a partire da sir Bradley Wiggins, strano atleta british allergico a pioggia e freddo.

Però anche le avversità del maltempo, in un lungo giro, sono un pedaggio da pagare. E diventa un titolo di merito se questo pedaggio lo si paga senza troppi danni. Anche da questo punto di vista, Nibali, siciliano dal sangue freddo, ha dimostrato di avere raggiunto una splendida maturità. A 28 anni Vincenzo entra nel Pantheon dei Signori del ciclismo dopo una lunga marcia di avvicinamento cominciata con la Vuelta 2010, il secondo posto al Giro 2011 e il terzo al Tour 2012.

Una crescita costante, da tenace ragazzo con la valigia, pronto a limare ogni dettaglio per arrivare al meglio. Quest'anno, grazie anche al nuovo team Astana, è cresciuto a cronometro e nella capacità di gestire la corsa. Lo si è visto dopo la crono di Saltara, quando il trono di Wiggins aveva cominciato a traballare. Senza colpi di testa, ma con la consapevolezza dei forti, Nibali ha lasciato che l'inglese si consumasse sotto la pioggia, controllando gli altri concorrenti (Evans, Uran e Scarponi), mai veramente in grado di lanciare una decisa controffensiva.

Nella sua consolle, la maglia rosa aveva tutto sotto controllo. E quando qualcuno usciva dai ranghi, lo andava subito a riprendere, riaccorciando il guinzaglio per far capire bene chi è il padrone. Una gestione da leader che fa ben sperare anche per il futuro della sua carriera, magari nel 2014 al Tour de France, ormai diventato un obiettivo raggiungibile.

Riflessivo, temporeggiatore, ma anche decisionista. Lo si è visto nella cronoscalata di Polsa quando lo Squalo ha dato il morso decisivo. Poteva stare tranquillo, amministrare il vantaggio, invece si è portato avanti, anticipando, con una vittoria extralarge, i successivi capricci del maltempo. Lucido, ma anche determinato. Con avversari che non brillano, la miglior difesa è l'attacco. E un attacco così incisivo ha tolto ogni residua voglia di reazione ad Evans e compagni.

E' stato un bel Giro, nonostante questo pazzo pazzo tempo e il solito caso di doping che, in extremis, riesce a far lavare i panni sporchi del ciclismo in pubblico. Ma va detta una cosa: la vicenda di Danilo di Luca, pietoso nella sua ostinazione a ripetersi, questa volta è più una eccezione che la regola. L'abruzzese, già squalificato due volte, è quasi un caso disperato che però ben fotografa quanto sia difficile disintossicarsi, anche psicologicamente, dal doping.

Purtroppo, in questo campo, la generosità non paga: gente come Di Luca ha fatto troppi danni al ciclismo. Chi sbaglia, proprio per riacquistare la credibilità perduta, deve pagare. Nessuna seconda chance, ma radiazione subito. Altrimenti, due anni dopo, ce li ritroviamo ancora in mezzo al gruppo a fare altri danni. Lo stesso direttore del Giro, Michele Acquarone, ha fatto un apprezzabile autocritica ammettendo d'aver sbagliato. «Mi sono lasciato convincere... Gli ho voluto concedere una seconda chance. Ho sbagliato, sono a pezzi...».

Confortante anche la reazione di molti corridori, soprattutto giovani , che con tweet durissimi hanno preso le distanze da Di Luca. «La cosa che mi fa più male, è sentire i commenti della gente che dice: tutti uguali, tutti bombati, la parola "tutti" mi fa soffrire...» ha scritto Sacha Modolo. Che stia davvero cambiando qualcosa?

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