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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2013 alle ore 08:00.

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Il Comune di Bologna destini un milione di euro l'anno soltanto alle scuole materne statali e comunali, e interrompa il sistema integrato introdotto con una legge regionale in Emilia-Romagna dal 1995. È questo il verdetto emerso dal referendum consultivo promosso dal cartello di associazioni, movimenti e partiti denominato "Articolo 33". In nottata gli scrutini dei 199 seggi: i votanti sono stati 85.934 pari al 28,71% degli aventi diritto (meno di un bolognese su tre); per l'opzione A - quella dei referendari, hanno votato 50.517 persone pari al 59%, mentre per la B (quella per mantenere lo stato attuale di finanziamento anche alle scuole paritarie), si sono espresse 35.160 persone pari al 41%.

Sul referendum si è aperto un dibattito molto acceso in città nelle ultime settimane e il centrosinistra che amministra la città ha rischiato la rottura. A favore dello stop al finanziamento pubblico, infatti, si è schierato oltre al Movimento di Beppe Grillo, a Sel, a una parte della Cgil e della Fiom, anche una parte del Pd. A guidare idealmente il gruppo dei promotori, anche Stefano Rodotà nominato presidente onorario. Contro il referendum, oltre alla Chiesa bolognese che rappresenta le decine di istituti religiosi gestori di scuole private, anche il Pd, Pdl, Udc e la Cisl. Il sindaco Virginio Merola, a pochi giorni dalle elezioni, aveva chiarito che indipendentemente dal risultato del referendum il Comune avrebbe proseguito come in passato, mantenendo fede al programma elettorale.

Il referendum - che è soltanto consultivo - aprirà inevitabilmente un dibattito in tutto il paese sul tema del finanziamento pubblico alle scuole materne paritarie.

Infatti pro e contro si sono schierati nelle ultime ore anche 'big' nazionali tra tutti Romano Prodi che è andato a votare per l'opzione B contro quella dei referendari che sono stati sostenuti invece da Nichi Vendola, presidente della Puglia dove funziona un medesimo sistema di finanziamento anche alle paritarie.

A Bologna le scuole materne statali sono il 17%, quelle comunali il 60% e quelle private il 23% (27 in tutti). Quest'ultime accolgono oltre 1.700 bambini (il 21% di quelli accolti nell'intero sistema comunale) e vi lavorano 200 persone, di cui 130 docenti. A queste strutture il Comune destina un milione di euro, il 2,8% delle risorse complessive accantonate per la fascia 3/6 anni, pari a circa 600 euro a bambino all'anno, ovvero il 9% del costo sostenuto dal pubblico per ogni bambino inserito nella scuola comunale.

Con la legge 52 la Regione Emilia-Romagna nel 1995 ha ufficialmente dato il via al sistema di convenzioni attraverso il quale ogni singolo Comune riconosce il ruolo e la presenza delle scuole paritarie private, contribuendo a creare un sistema integrato. Dopo anni di polemiche e di pressioni (e ricorsi al Tar tutti caduti nel nulla), "Nuovo Comitato art. 33" ha presentato la richiesta di un referendum consultivo.

L'amministrazione comunale, secondo il comitato "Articolo 33" dovrà tenere contro del risultato di ieri alle urne: "La scuola pubblica ha vinto il referendum nonostante una larga alleanza di forze politiche ed economiche abbia sostenuto l'opzione B con tutto il proprio peso. Un risultato che lancia un messaggio al paese: la scuola di tutti, laica e gratuita, è un bene comune e deve rimanere un diritto come sancito dalla nostra Costituzione". Tra chi ha sostenuto l'opzione B c'è stata delusione per i risultati e in particolare per la scarsa affluenza: la dimostrazione, ha detto il parlamentare del Pd Edoardo Patriarca "che ha votato una minoranza. Si è trattato di una battaglia ideologica che non interessa la gran parte dei cittadini. I bolognesi hanno capito che la sussidiarietà è la chiave di volta laddove lo Stato non riesce ad arrivare"

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