Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2013 alle ore 12:41.

My24

Duecentotrenta miliardi in meno tra il 2009 e il 2013. È questa la stima della ricchezza perduta dagli italiani negli ultimi cinque anni, formulata dal presidente della Corte dei Conti. Luigi Giampaolino ha citato questo numero esorbitante che dà la misura dell'impoverimento del Paese per far capire come, in assenza di sviluppo, anche la gestione dei conti pubblici diventa una corsa a ostacoli sempre più complessa.

Soprattutto quando - come nel caso dell'Italia - sussiste già un vulnerabilissimo tallone d'Achille. Infatti spiega la Corte dei conti «l'Italia presenta un andamento corrente della propria finanza pubblica nettamente migliore rispetto ai paesi in crisi e anche rispetto alle altre grandi economie europee, ma la situazione cambia allorché si guardi all'altro parametro di Maastricht, il rapporto fra debito e prodotto: un indicatore che colloca l'Italia tra i paesi in crisi e distante dagli altri grandi paesi, Spagna inclusa. Insomma, è vero che il saldo primario italiano nel 2012 è stato pari al 2,5 per cento del Pil ma il debito pubblico viaggia in direzione del 130 per cento del Pil.

E, come insegnano i libri di scuola, la dinamica del debito pubblico dipende da diverse variabili ma le più importanti sono tre: il saldo primario (ovvero la differenza fra entrate e spese della pubblica amministrazione al netto degli interessi); il costo medio del debito; la crescita economica nominale(vale a dire quella che tiene conto anche della variazione dei prezzi): Nel caso italiano le prime due variabili sono tornate sotto controllo, anche se, ovviamente, per una ulteriore riduzione dei tassi d'interesse, fortemente auspicata dal ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, rimane cruciale mantenere la fiducia dei mercati, l'impegno al risanamento e alla realizzazione delle riforma.

La terza variabile, ovvero la crescita economica, in Italia è drammaticamente insufficiente: in sostanza, se il Pil non riparte rapidamente nel medio termine il nostro debito pubblico può diventare insostenibile. Per questo, al di là delle polemiche più o meno fair tra i talebani della soglia fatale del debito pubblico al 90 per cento e i sostenitori a oltranza dell'economista americano Paul Krugman, l'uscita dalle secche di un'austerity fine a se stessa è altamente auspicabile, in Europa e nel nostro paese.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi