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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2013 alle ore 16:06.

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Era il 30 giugno del 2010 quando Giulio Tremonti ricorreva a una metafora per spiegare i vantaggi attesi dalla riforma federalista voluta fortemente dai suoi allegati leghisti: servirà a raddrizzare l'albero storto del federalismo italiano. Un albero che invece - tre anni e tre ministri dell'Economia dopo - è rimasto storto. Come emerge anche dal rapporto 2013 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica che sottolinea come, nel frattempo, la pressione fiscale sia aumentata sia in centro che in periferia. a causa di un sistema «squilibrato» e di «problematica attuazione». 

I numeri diffusi dai magistrati contabili lasciano pochi spazi ai dubbi. Nonostante il vincolo di «invarianza fiscale» previsto dalla legge delega (la n. 42 del 2009) il peso del prelievo tributario è aumentato ovunque. Le entrate delle amministrazioni locali sono cresciute di 12,5 miliardi nel biennio 2011-2012. Tant'è che la loro quota sul totale delle Pa è arrivata al 15,9% contro i 5,5 del 1990. Risultato: i 4/5 dell'aumento della pressione fiscale complessiva dal 38 al 44% del Pil sono imputabili proprio alle scelte decise in periferia. Nel frattempo anche gli incassi dello Stato sono cresciuti di 10 miliardi nel biennio 2011-2012. Come se non bastasse, fa notare ancora la Corte dei conti, l'aumento degli introiti non va letto per forza come un aumento dell'autonomia impositiva territoriale. Che resta «limitata» e «condizionata». In pratica in questi anni di federalismo incompiuto i sindaci, i presidenti di Provincia e i governatori hanno usato le addizionali per compensare i tagli ai trasferimenti subiti dal governo centrale.

E veniamo così al secondo punto di debolezza dell'impianto federalista denunciato dalla Corte dei conti: gli effetti distorsivi per famiglie e imprese causati da «significative differenze territoriali nel prelievo» pure davanti a «un uguale imponibile» e «all'assenza di apprezzabili divari nel livello delle prestazioni». Se a ciò si aggiunge che la leva fiscale, sia per l'addizionale Irpef che per l'Irap, è stata spesso usata in via automatica per ripianare i disavanzi sanitari (e dunque soprattutto al Mezzogiorno) si arriva al duplice paradosso che la morsa del fisco si è stretta spesso sui «territori con redditi medi più bassi» ed «espressione di economie più in affanno». Se tale situazione dovesse protrarsi - spiega il rapporto - potrebbero derivarne casi di «delocalizzazione» tanto delle persone fisiche quanto delle imprese. Cittadini e aziende potrebbero cioè spostare la residenza da un angolo all'altro dello Stivale sulla base della sola convenienza fiscale. Se non addirittura essere spinti a evadere.

Di tutto ciò dovrà tenere conto il Governo Letta. E se non altro il nuovo Esecutivo sembra essere consapevole del compito che lo attende. Come dimostra sia la volontà di convocare per la prima volta la conferenza permanente per la finanza pubblica così da avere una "camera di compensazione" stabile tra centro e periferia, sia la scelta di Graziano Delrio come titolare degli Affari regionali e della delega all'attuazione del federalismo. Quel Delrio che da presidente dell'Anci ha denunciato più volte le incongruenze messe in luce anche dalla Corte dei conti. E che ora dovrà provare a risolverle.

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