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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2013 alle ore 18:26.

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Lea Garofalo (Ansa)Lea Garofalo (Ansa)

MILANO - Quattro ergastoli, una assoluzione e uno sconto di pena per il pentito Carmine Venturino. Questo il verdetto dei giudici della Corte d'Appello di Milano sull'omicidio di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia sequestrata la sera del 24 novembre 2009 nella città meneghina e giustiziata qualche ora dopo in un casolare della Brianza. Ergastolo confermato per il compagno di Lea, Vito Cosco, e per gli imputati Rosario Curcio, Carlo Cosco e Massimo Sabatino. Venticinque anni di carcere per Venturino. Assolto, invece, Giuseppe Cosco.

Le richieste del Pm
Dopo i sei ergastoli comminati in primo grado, il sostituto procuratore generale di Milano, Marcello Tatangelo, in fase di requisitoria aveva chiesto la conferma della condanna all'ergastolo per tre persone (Vito Cosco, Rosario Curcio e Carlo Cosco), l'assoluzione di Massimo Sabatino e Giuseppe Cosco, e ventisette anni di carcere per Carmine Venturino, il pentito che ha dato la svolta a questo processo. «E' impensabile – aveva detto il Pg riferendosi a Cosco - che gli si possano concedere le attenuanti generiche. Cosco ha attirato Lea Garofalo nella sua trappola. Io non so se si meriti l'odio di sua figlia, e sinceramente neppure mi interessa, quello che so è che la pena che si merita è l'ergastolo e con lui suo fratello Vito». Così è stato.

L'ultima difesa di Cosco
E dire che Carlo Cosco ci ha provato fino all'ultimo a far passare l'idea del delitto d'impeto. Anche stamattina, prima che i giudici si ritirassero per formulare la sentenza, l'ex compagno di Lea aveva dichiarato che dietro all'omicidio non c'era «nessun movente».

«Lei mi aveva fatto soffrire – aveva detto Cosco in aula - e minacciava di non farmi più vedere mia figlia e questa minaccia mi ha fatto impazzire. Ci tengo a sottolineare che chiesi io a Venturino, dopo la sentenza, di assumersi la responsabilità, perché lui era l'unico testimone quando io la uccisi in preda a un raptus». Venturino obbedì, tanto che a luglio scorso iniziò a collaborare con la giustizia fornendo i per far ritrovare quel che resta del cadavere di Lea. Il collaboratore, però, fornì un una versione dei fatti decisamente diversa da quella di Cosco: nessun omicidio d'impeto, ma un delitto decisamente pianificato. Cosco strangolò Lea Garofalo perché sognava di farlo da tempo. Lo stesso Venturino e Rosario Curcio si occuparono di far sparire il cadavere, dandolo in pasto alle fiamme.

Stamattina, prima della sentenza, sempre Carlo Cosco aveva parlato ancora una volta della figlia Denise, costituitasi parte civile nel processo: «Purtroppo mia figlia non ha più sua madre e non sopporto l'idea che debba essere protetta da me, la amo tanto e non smetterò mai di pregare per avere il suo perdono». La ragazza, che oggi ha 21 anni, vive sotto programma di protezione. La sua testimonianza è stata fondamentale nel corso del processo.

I funerali a Milano
Attraverso il suo legale, Vincenza Rando, Denise Garofalo, la figlia di Lea, ha manifestato l'intenzione di voler celebrare il funerale della madre a Milano. «L'impianto accusatorio ha tenuto - ha affermato il difensore - Denise è contenta che sia stato trovato il corpo della madre e ora vuole fare un funerale a Milano».

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