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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2013 alle ore 08:27.

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«È bene che tutti lo ricordino: noi siamo la forza determinante del Paese. Possiamo stabilizzare o destabilizzare il Libano», dice al nostro giornale sheikh Ali Daghmoushe, responsabile delle relazioni internazionali di Hezbollah e uno dei 12 membri della Shura, il politburo del movimento sciita libanese. «Il nostro intervento militare in Siria è una necessità strategica».
Dichiarandolo ormai apertamente, da settimane Hezbollah combatte in Siria accanto al regime di Bashar Assad. «Anche gli altri mandano da tempo armi e uomini a sostenere i terroristi: i salafiti, i jihadisti, i partiti sunniti libanesi - obbietta Daghmoushe -. L'unica differenza fra noi e loro è che noi abbiamo il coraggio di dirlo».
La partecipazione alla guerra di una milizia e un partito di governo libanese è la dimostrazione più evidente e drammatica di quanto si possa allargare il conflitto civile siriano: il primo delle Primavere arabe a non essere solo nazionale ma a covare le potenzialità di una conflagrazione fra sciiti e sunniti e di una grande guerra per una nuova geo-politica del Medio Oriente.
Non c'è conflitto delle dimensioni di quello siriano le cui onde d'urto possano essere contenute dentro frontiere nazionali. Anche i moti popolari in Turchia sono in qualche modo parte di quei tremori sismici: nati per difendere alcune decine di alberi contro una speculazione commerciale e diventati una rivolta al modello islamico di Erdogan, per quanto moderato sia il suo. Il conflitto siriano alle porte meridionali della Turchia mette ansia, spinge profughi a minacciare la crescita economica nazionale, porta terrorismo che ha già fatto diverse vittime. La stessa situazione in Giordania, dove si è rifugiato il numero più alto di profughi siriani: già più di un milione di persone che, presumibilmente, sono destinate a restare per qualche anno, stravolgendo la composizione demografica di intere regioni di un Paese con sei milioni e mezzo d'abitanti.
In Libano già si combatte a causa della Siria. Nella città di Tripoli ci sono stati più di trenta morti e centinaia di feriti negli scontri fra sunniti e alawiti, la setta sciita alla quale appartiene la famiglia di Bashar Assad. Non occorre molto perché la battaglia incominci anche a Beirut. Due notti fa, attorno alla città sportiva e ai campi profughi palestinesi di Chatila e Burj al-Barajneh ci sono stati scontri fra Hezbollah sciiti e salafiti. I palestinesi sono intervenuti in difesa dei secondi, sunniti come loro. Sono scenari da guerra civile anni Settanta e Ottanta.
Poi c'è Israele che vigila, cerca di restare fuori dal caos intervenendo - per ora - solo se necessario e solo in maniera selettiva. Ma già tre volte ha bombardato in territorio siriano convogli che probabilmente portavano armi di qualità siriane agli arsenali di Hezbollah. «Le armi strategiche per dissuadere Israele in ogni momento le abbiamo già», spiega sheikh Daghmoushe. La precisazione non è comunque rassicurante.
Solo una conferenza di pace sulla Siria potrebbe fermare la corsa alla guerra, dare una possibilità alla diplomazia. Il grande mercato di armi preannunciato in questi giorni sia a favore del regime che dei suoi oppositori, sembra la negazione di una Ginevra 2. In realtà non sono necessariamente cattivi segnali: i missili russi a Bashar Assad e armi migliori promesse da inglesi e francesi ai rivoltosi, servono per dare più forza alle parti in causa quando la diplomazia sta per intervenire nel gioco. Sugli S-300, i missili terra-aria russi, capaci di modificare equilibri strategici più importanti di quelli fra regime e ribelli, fa testo il silenzio israeliano. «A noi non risulta che siano partiti da Mosca», commentava Moshe Yaalon, il ministro della Difesa israeliano. «Se arriveranno, sapremo cosa fare». Solo se le armi arriveranno davvero, non ci sarà alcuna Ginevra 2.
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LA DIPLOMAZIA
Una conferenza in bilico
Non c'è ancora una data per la conferenza di pace di Ginevra sulla Siria. «Il 5 giugno ci sarà una pre-riunione, probabilmente con l'Onu, la Lega Araba, John Kerry», ha detto ieri il ministro degli Esteri Emma Bonino
Il Guardian, citando fonti diplomatiche, spiega che è sempre più probabile uno slittamento da giugno a luglio o addirittura ad agosto. La vendita di armi russe al regime di Bashar Assad ha causato forti tensioni diplomatiche. Gli Usa vogliono che Assad se ne vada, il Regno Unito è per un sostegno più attivo ai ribelli
Il piano di pace Ginevra 2 ricalca il Ginevra 1 - fallito nel 2012 nonostante la mediazione di Kofi Annan - e prevede il cessate il fuoco a tempo indeterminato e la creazione a Damasco di un governo di transizione

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