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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2013 alle ore 08:32.

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Nel corso del 2012 le banche hanno tagliato alle imprese italiane 44 miliardi di euro di finanziamenti. È quanto emerge da un report di Standard & Poor's in cui si prevede un sempre maggior ricorso alle emissioni obbligazionarie da parte del nostro tessuto produttivo per far fronte alla stretta creditizia.

Attualmente, rileva l'agenzia di rating, le imprese italiane attingono il 92% del loro fabbisogno finanziario di breve e lungo termine dalle banche ma «questa provvista sta diventando meno disponibile in quanto le banche italiane hanno avviato un percorso di riduzione della leva finanziaria».

Questo fenomeno «insieme all'allentamento della legislazione d'impresa e fiscale per le medie imprese che è stata introdotta in Italia - si legge nel report - probabilmente incoraggerà l'emissione di più obbligazioni». Già lo scorso anno le imprese italiane hanno emesso un ammontare netto di 20 miliardi di euro di bond colmando, peraltro solo in parte, il taglio dei finanziamenti da parte del sistema bancario.

Secondo S&P, in uno scenario di "crescita zero" in cui le imprese emettano bond solo per rifinanziare il debito esistente, la percentuale di obbligazioni sul totale dei finanziamenti potrebbe salire all'11%-14% nei prossimi cinque anni. In presenza di una ripresa della crescita economica il funding attraverso bond potrebbe arrivare fino al 14%-17%, sostenuto dalla crescita degli investimenti fissi.

L'agenzia americana ritiene che «un più ampio ricorso al mercato dei bond possa aiutare a migliorare la struttura di capitale delle imprese italiane e ridurre i rischi di rifinanziamento perchè potrebbe allungare le scadenze del debito e diversificare la base degli investitori».

Tuttavia la sostituzione del debito bancario con quello obbligazionario sarà un processo «lungo e arduo» a causa dello «scarso interesse» da parte degli investitori istituzionali italiani per le emissioni delle medie imprese (in media l'80% delle obbligazioni sono state sottoscritte da investitori esteri) e «dell'assenza di un mercato sviluppato del private placement».

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