Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2013 alle ore 06:43.

My24


MILANO
Quella sera Silvio Berlusconi non dormiva mentre ascoltava «attraverso il computer» la voce di Piero Fassino chiedere a Giovanni Consorte: «Allora, abbiamo una banca?». Era la vigilia di Natale del 2005 e nella villa di Arcore l'allora presidente del Consiglio aveva ricevuto il fratello Paolo, il suo socio d'affari Fabrizio Favata e l'imprenditore Roberto Raffaelli, titolare di una società che svolgeva intercettazioni telefoniche per conto della procura di Milano. Raffaelli portava al premier un «regalo di Natale»: una intercettazione non ancora trascritta, nella quale il segretario dei Ds Fassino parlava con il numero uno di Unipol Consorte della scalata (poi fallita) alla Bnl. Quella conversazione fu poi pubblicata dal Giornale il 31 dicembre di quell'anno e provocò non pochi problemi ai Democratici di sinistra a quattro mesi dalle elezioni politiche.
In 90 pagine di motivazioni, i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano spiegano perché hanno giudicato colpevole Berlusconi di concorso in rivelazione del segreto d'ufficio condannandolo a un anno di reclusione senza la concessione delle attenuanti generiche per la «sua qualità di pubblico ufficiale». Berlusconi fu decisivo per la pubblicazione di quella intercettazione, scrivono i giudici. «Senza l'apporto in termini di concorso morale» dell'ex premier, infatti, la pubblicazione «non si sarebbe realizzata». Non solo. La pubblicazione aveva bisogno del via libera di Berlusconi per «la sua qualità di capo della parte politica avversa a quella di Fassino». Dunque, secondo i giudici di Milano, Berlusconi agì in qualità di leader del Pdl. Infatti, aggiungono i giudici, «il contenuto di quella telefonata venne sfruttato politicamente». Perché quella telefonata sarebbe stata così importante per il leader del Pdl? Per la sua «carica di portata evocativa», perché quella conversazione – osservano i giudici – «appare significativa della capacità della sinistra di "fare affari" e mettersi a tavolino con i poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica, se non del partito, quanto meno dell'orientamento del suo elettorato». Per i giudici «la frase "abbiamo una banca" è rimasta impressa nella memoria collettiva».
Per gli avvocati di Berlusconi, Niccolò Ghedini e Piero Longo, «le osservazioni contenute nella sentenza» sono «prive di ogni logica giuridica» e «dimostrano ancora una volta l'impossibilità di celebrare dei processi a Silvio Berlusconi a Milano». Sempre ieri, la Cassazione ha respinto la richiesta di ricusazione del giudice Maria Teresa Guadagnino, uno dei tre del collegio che ha condannato Berlusconi per la telefonata Fassino-Consorte. La richiesta di Ghedini e Longo è stata rigettata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi