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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2013 alle ore 08:23.

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È stato uno shebab, un ragazzo, a uccidere a Farah con una bomba lanciata contro un blindato il capitano del terzo reggimento bersaglieri Giuseppe La Rosa, 31 anni, e a ferire tre suoi commilitoni: questa almeno è la versione dei Talebani. «Un ragazzo coraggioso di 11 anni - afferma il portavoce Qari Yousef Ahmadi - ha colpito gli italiani con una granata».
Contrastante il racconto del rappresentante del governatore provinciale di Farah, Abdul Rahman Zhawandai, secondo il quale sarebbe stato un adulto a compiere l'attentato e poi a fuggire, dileguandosi tra la folla nel mercato. Ci sarebbe peraltro anche una terza versione, arrivata poco dopo l'attentato, alle dieci della mattinata di ieri, che parlava di un afghano vestito da poliziotto o da militare: un insider quindi, come avviene sempre più spesso nel paese asiatico.
Lo stato maggiore della difesa non ha dato molti dettagli se non che la granata sarebbe penetrata nel blindato Lince dalla "ralla", la botola sul tetto del veicolo dove è appostato il mitragliere. Un colpo fortuito, un destino fatale incrociato da quel povero capitano dei bersaglieri in uno dei posti peggiori dove fare il soldato. Secondo il ministro della Difesa Mario Mauro, il bersagliere è morto per difendere gli altri: «Questa giornata il nome di un eroe ce l'ha già, è quello di Giuseppe La Rosa: è lui che si è frapposto, contenendo con il proprio corpo le schegge, tra lo stesso ordigno e gli altri occupanti dell'automezzo». È questo il 53° morto italiano in Afghanistan, una guerra per lo più dimenticata dai mass media ma anche dai politici, in attesa del ritiro della Nato-Isaf nel 2015: il dolore espresso da istituzioni e politici è ovviamente sincero e sentito ma nelle dichiarazioni, come pure nei servizi di tv e articoli di giornali, c'è qualche cosa di ripetitivo, come se non si vedesse l'ora di chiudere nell'oblio una vicenda sanguinosa di cui l'opinione pubblica ha quasi dimenticato persino le ragioni, se non fosse per le immagini straviste in tutto il mondo del crollo delle due Torri di New York che rievocano l'attentato dell'11 settembre 2001 di Al Qaida.
Eppure la polvere del Gulistan e della provincia di Farah ha inghiottito un'altra vita. Farah si trova in una distesa aspra di sabbia e pietraie ai piedi delle montagne, all'orizzonte l'atmosfera è quasi irrespirabile, giallastra e abbagliante; un paesaggio apparentemente immobile, soffocante di giorno, con un freddo pungente di notte.
La maggior parte dei soldati italiani sono caduti in questa remota provincia, ai confini tra Herat e Helmand, che porta un nome leggiadro, il Gulistan, il giardino delle rose. Ma nel giardino delle rose non c'è niente di poetico, questa è un'area, all'incrocio delle strade più frequentate dalla guerriglia, dove l'80% della popolazione è pashtun, l'etnia maggioritaria che alimenta le schiere degli uomini armati. Insieme ai guerriglieri ci sono dozzine di bande armate che lavorano ai fianchi le truppe Nato e a volte sono in concorrenza per controllare le vie delle armi e della droga.
Questo Afghanistan, a quanto pare, non uscirà però tanto presto dalle nostre cronache. L'Italia si è già impegnata a contribuire militarmente a "Resolute Support", la missione della Nato che dall'inizio del 2015 sostituirà l'Isaf (International security assistance force). A dirlo è stato Chuck Hagel, segretario alla Difesa degli Stati Uniti, al termine del vertice interministeriale della Nato che si è tenuto questa settimana a Bruxelles. Una riunione affollata: 50 ministri della Difesa di 28 Paesi membri della Nato e di 22 Paesi "non-Nato" che contribuiscono alla missione Isaf in Afghanistan. Il capo del Pentagono ha confermato che gli Stati Uniti continueranno a essere il Paese che più contribuisce in termini militari alla missione ma ha voluto sottolineare il sostegno ricevuto dall'Italia e della Germania.
La missione "Resolute Support" prevede la divisione dell'Afghanistan in diverse aree: agli Stati Uniti il Sud e l'Est, alla Germania il Nord, all'Italia la parte Ovest dove è già da alcuni anni. Sembra quindi ancora presto per dire, come fecero i russi nell'89, "Afghanistan addio".
Oltre all'ufficiale italiano sono stati uccisi ieri, nella provincia orientale di Paktika, tre americani, due soldati e un civile, colpiti da un uomo in uniforme dell'esercito afghano, sembra - come ha detto un portavoce del governatore provinciale di Paktika - dopo un litigio. Il soldato, che ha ferito anche altri tre americani, si è poi ucciso. Almeno uno su cinque soldati alleati morti in combattimento sono frutto di attacchi di insider dell'esercito afghano. Solo tre giorni fa un attentato suicida ha ucciso sette soldati nella provincia meridionale di Helmand.
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IL SOLDATO UCCISO
Un ufficiale preparato e solare
Era alla sua seconda missione in Afghanistan, e a settembre sarebbe dovuto tornare a casa, il capitano Giuseppe La Rosa, 30 anni (nella foto). Dal dicembre 2012 era effettivo nel 3° Reggimento bersaglieri della Brigata Sassari. «Era un ufficiale solare, sempre disponibile - ricorda il comandante, il colonnello Corrado Carlini - e molto preparato. Si era inserito bene nella realtà del Reggimento». La Rosa era originario di Barcellona Pozzo Di Gotto (Messina), dove aveva vissuto con i genitori e i due fratelli. Dal 2007 al 2009 era andato in missione in Kosovo, nel 2011 la prima puntata in Afghanistan terminata a marzo 2012, poi a marzo scorso la partenza per la nuova missione

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