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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2013 alle ore 12:17.

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(Corbis)(Corbis)

Nel 2009, durante e dopo le presidenziali che hanno portato alla rielezione di Ahmadinejad, sui media occidentali era tutto un fiorire di titoli sull'importanza del ruolo di Twitter nell'animare il movimento di protesta dell'Onda verde. La piattaforma veniva ampiamente lodata per il supporto organizzativo agli attivisti scesi in strada: stesso giudizio espresso - con le opportune differenze - a proposito delle Primavere arabe e oggi con le contestazioni in Turchia.

Ma a seguire gli aggiornamenti e il dibattito sul microblogging erano soprattutto utenti esteri, che leggevano e scrivevano in inglese (con una "visio occidentale" dei fatti). E non sono mancate le voci critiche di esperti che avanzavano sospetti sulla narrazione della "Twitter-rivolta" iraniana, zeppa di eccessivo ottimismo e analisi superficiali.
Dopo la cacciata o la repressione della stampa estera, però, i siti social erano rimasti gli unici a informare, tra notizie e propaganda. E così da un lato c'era chi – come il Time - celebrava i risultati di questa «dotcom startup» (e Twitter all'epoca aveva già tre anni) alla quale il Dipartimento di Stato americano aveva chiesto di rinviare un aggiornamento che due giorni dopo il voto avrebbe portato al blocco temporaneo dei cinguettii in Iran. Dall'altro, chi sosteneva che le iperboli raccontassero le fantasie nutrite verso i new media e la tecnologia occidentale, più che la realtà iraniana.

Le piattaforme social sono state però fondamentali per la diffusione delle informazioni. «Senza i citizen media la gente non avrebbe mai potuto vedere il viso di Neda (Soltan, icona della rivolta, le cui immagini della morte furono diffuse su Youtube, ndr) o gli altri iraniani picchiati dalle forze di sicurezza», ha spiegato in seguito Annabelle Sreberny, docente di Global media e comunicazione alla School of oriental and african studies (Soas) di Londra. «Ma Twitter è stato molto sopravvalutato».

Twitter non è stato il driver della protesta 2009
Conferma a questa tesi è arrivata dall'indagine del Centre for global communication studies (Cgcs), pubblicata solo qualche settimana fa, ma condotta a più di un anno dalle presidenziali del 2009, durante le proteste in Nord Africa e Medio Oriente. Sono stati coinvolti 2.800 giovani iraniani (per l'80% under 30), istruiti (il 78% con un diploma universitario in tasca), "metropolitani" e abili con le tecnologie, chiedendo loro quali fonti usino per informarsi, l'importanza dei new media per la discussioni politiche, l'esperienza con la censura online.

Sebbene internet sia stata la principale fonte di informazione, al secondo posto si è piazzata la televisione (controllata dallo Stato), e Twitter si è rivelata la piattaforma new media meno popolare, frequentata solo dal 17% degli intervistati. Il sondaggio è avvenuto attraverso il sito 4shared, e se quindi è comprensibile che internet risultasse in generale lo strumento più usato, resta indicativo il risultato di Twitter. Al terzo posto tra le fonti figurano famiglia e amici, con il 49%, seguiti dalla stampa tradizionale (42%) e dagli ambienti di lavoro e studio (33%).

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