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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2013 alle ore 16:13.

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(Reuters)(Reuters)

IL CAIRO - La questione non è difficile da sintetizzare: nel 2025 l'Egitto avrà 105 milioni di abitanti e l'Etiopia 113. Il consumo medio pro capite di acqua nel mondo è di mille metri cubi l'anno: egiziani ed etiopi non ne hanno più di 750. L'85% degli abitanti dell'Etiopia è povero, il 70 non ha accesso all'elettricità. L'Egitto è più sviluppato ma non ha meno sete e fame di crescita. L'acqua disseta, irriga e sfama lo sviluppo producendo energia. Per entrambi il Nilo è all'85% l'unica fonte di sostentamento idrico.

Sembra impossibile una guerra fra Egitto ed Etiopia. Ma prima della globalizzazione, nel vecchio mondo delle ideologie le cifre appena ricordate sarebbero state più che sufficienti per farne una. Non è tuttavia garantito che nella nuova geopolitica le guerre fra poveri non si combattano più: qualche giorno fa Mohamed Morsi, il presidente egiziano, non lo ha escluso.

Il casus belli, la Elena rapita da Paride, sono le acque del Nilo Blu, il tratto che nasce in Etiopia e si congiunge con il Nilo Bianco a Khartoum, in Sudan. Qualche settimana fa l'Etiopia ha deciso unilateralmente di deviare il corso del fiume. Stanno costruendo la prima di quattro dighe, la più importante: un progetto da 4,2 miliardi, lunga 1.789 metri e alta 145. Entro cinque anni, quando il bacino sarà pieno conterrà 74 milioni di metri cubi d'acqua e inonderà un'area di 1.680 chilometri quadrati.

E' la Grande Diga Etiopica della Rinascita, la GERD. Rinascita per l'Etiopia, non per l'Egitto i cui esperti hanno stabilito che nei quattro anni durante i quali l'invaso verrà riempito, il Paese riceverà solo la metà dei 55,5 miliardi di metri cubi d'acqua stabiliti dai trattati internazionali. Poi, soprattutto a causa dei mutamenti climatici, seguiranno sette anni di alluvioni. Una prospettiva biblica che la propaganda enfatizza ogni giorno.
Non sono tempi facili in Egitto. Il governo dei Fratelli musulmani non risolve i problemi. Le opposizioni (molte e senza una leadership) stanno organizzando una grande manifestazione contro Morsi, il 30 giugno, per invocare le dimissioni del presidente e nuove elezioni. Due giorni prima, nello stesso luogo, davanti al palazzo presidenziale di Heliopolis, i Fratelli musulmani inizieranno un presidio a favore del presidente. Il rischio di scontri violenti è alto. Il Paese è economicamente polarizzato e nessuno affronta la crisi economica che potrebbe paralizzare il Paese prima che lo facciano i disordini politici.

Sotto ogni punto di vista l'aria del Cairo è bollente e una crisi internazionale sarebbe una momentanea via d'uscita per molti. Il capo di uno dei tanti partiti d'opposizione, il laburista, qualche giorno fa sottolineava che "non è solo una battaglia contro l'Etiopia ma anche contro gli Stati Uniti e Israele". La dichiarazione non è importate ma aiuta a capire l'atmosfera.

Tutti disegnano grandi complotti internazionali ai danni dell'Egitto e nessuno ricorda che solo lunedì scorso l'amministrazione Obama confermava anche per quest'anno l'aiuto militare da 1,3 miliardi di dollari. Un sostegno strategico garantito a chiunque governi al Cairo. "Lo facciamo sulla base dell'interesse nazionale americano - spiega un portavoce del dipartimento di Stato -. Aiuta a preservare importanti obiettivi regionali come l'accesso al canale di Suez e la lotta al traffico di armi".

L'Etiopia aveva annunciato la diversione del Nilo Blu il giorno dopo la partenza di Morsi da Addis Abeba, alla fine una visita di Stato. Difficile non pensare che anche per loro l'Egitto oggi non sia più una potenza africana, esattamente come non ha più autorità nel Medio Oriente arabo. Con Nasser, dice un numero crescente di egiziani per i quali la nostalgia incomincia a diventare un assunto politico, questo non sarebbe accaduto.
La storia della diplomazia è piena di trattati sul Nilo: 1891, 1902, 1906, 1929, 1959. Dopo l'ultimo, progressivamente i Paesi alle fonti del fiume – Etiopia, Uganda, Burundi, il Congo, il Kenia e la Tanzania – hanno incominciato a mettere in discussione gli accordi che rispecchiavano il ruolo maggiore dell'Egitto nella spartizione delle acque, seguito dal Sudan. Già il Nile Basin Initiative del 1999, indicava che per i Paesi dell'Africa sub sahariana l'Egitto non dovesse più avere la quota un tempo concordata di 55,5 miliardi di metri cubi.

L'Egitto invece dava per scontato che quella quantità presto dovesse essere rinegoziata al rialzo. Secondo gli esperti, ogni miliardo di metri cubi d'acqua garantisce cibo per cinque milioni di abitanti. Il Paese oggi produce meno del 60% del suo fabbisogno alimentare. L'importazione delle derrate vale un conto da 10 miliardi di dollari l'anno. Nel 2017, quando la diga della Rinascita entrerà in funzione e il suo bacino incomincerà a rilasciare le acque, l'Egitto rischia di vedersi ridotta la sua quota di 22 miliardi di metri cubi. Ma nelle sue previsioni l'Egitto si aspettava di prelevarne una trentina di milioni più dei 55,5 originari.

Nel bacino del Nilo, dalle fonti nel cuore dell'Africa al delta sulle rive del Mediterraneo, vivono 300 milioni di esseri umani. Le cifre sono diverse ma anche i Paesi a monte hanno le stesse ambizioni dell'Egitto, a valle: aumentare le terre coltivate, generare più elettricità, crescere gli standard di vita. In assenza di un negoziatore autorevole, i poveri calcolano i costi di una guerra per l'acqua.

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